Chi è Marco Mottola, l’assassino di Serena Mollicone: “Il padre ci ha depistati per anni”

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Di Redazione Metropolitan

Marco Mottola è l’autore dell’omicidio di Serena Mollicone. È quanto affermato dal pm di Cassino nel corso della requisitoria riguardante il processo della giovane, assassinata il 1° giugno 2001, a 18 anni, nella Caserma dei Carabinieri di Arce, in provincia di Frosinone.

A 21 anni dal crimine efferato, Mottola è uno dei tre imputati accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere assieme al padre, Franco, ex Comandante della Caserma e alla moglie Anna Maria.

Gli altri due imputati sono: il luogotenente Vincenzo Quatrale e l’appuntato del Carabinieri, Francesco Suprano.

Chi è Marco Mottola, l’assassino di Serena Mollicone

Il 40enne Marco Mottola, gestisce un’attività commerciale a Venafro, in Molise, ed è figlio di Franco, ex maresciallo dei Carabinieri che, all’epoca dell’omicidio di Serena Mollicone, era Comandante dei Carabinieri di Arce.

Nel lontano 2001, anno in cui venne assassinata Serena, Marco era conosciuto in città come uno spacciatore e la mattina della sua scomparsa, la ragazza si era recata in caserma per denunciarlo.

A sostenere la colpevolezza dei Mottola (padre, madre e figlio), oltre alla famiglia Serena, era il brigadiere Santino Tuzi, morto suicida nel 2008.

Nella sua deposizione, il brigadiere dichiarò di aver visto la ragazza entrare nella Caserma dei Carabinieri. Dopo pochi giorni, il suo corpo venne ritrovato senza vita. La causa fu suicidio, ma le dinamiche sono sempre state dubbie

Tuttavia, alla responsabilità di Marco Mottola, assente in Tribunale, “si arriva anche senza tenere conto della pur attendibile testimonianza di Tuzi” ha dichiarato l’accusa nella requisitoria.

Per il pm dell’accusa il “cuore del processo” è legato alla porta della caserma contro cui è stata fatta sbattere la ragazza e la ferita sul sopracciglio sinistro è compatibile. Inoltre, al momento della riesumazione del cadavere, nel 2016, emerse che erano spariti gli organi genitali e dell’ano di Serena, macabre azioni volte a nascondere le tracce biologiche compromettenti.

I capisaldi dell’accusa con i quali è stato indicato Marco Mottola come responsabile dell’omicidio di Serena Mollicone, si snodano su alcuni punti principali:

  •  Presunti depistaggi del maresciallo Franco Mottola per allontanare i sospetti dal figlio;
  •  La dichiarazione del brigadiere Santino Tuzi (morto suicida nel 2008);
  •  La porta della Caserma dei Carabinieri di Arce, ritenuta essere l’arma del delitto;
  •  Le larve di mosca verde rinvenute sul corpo di Serena che dimostrano che il corpo è stato portato nel boschetto di fonte Cupa di Fontana Liri.

Nel 2019, quando si chiusero le indagini, per poi essere riaperte, venne formulata una richiesta di rinvio a giudizio per 5 persone tra cui 3 carabinieri: il Maresciallo Mottola, la moglie Annamaria e Marco con l’accusa di omicidio aggravato ed occultamento di cadavere. Il sottufficiale Vincenzo Quatrale venne imputato per concorso in omicidio e per istigazione al suicidio di Tuzi, mentre il carabiniere Francesco Suprano per favoreggiamento.

Nel 2020, il Gup Domenico Di Croce rinviò a giudizio i cinque responsabili con le accuse sopra elencate.

La dott.ssa Cristina Cattaneo, chiamata a testimoniare il 21 giugno 2021, disse che se il

“trauma cranico abbia provocato uno stordimento e poi la morte sia sopraggiunta per asfissia è un’ipotesi molto probabile ma non abbiamo gli elementi per dirlo con certezza. La morte per asfissia meccanica è una diagnosi che si fa per esclusione, è una causa di morte che lascia pochissimi segni”.

Nell’udienza del 28 gennaio 2022 che hanno depositato in Procura, i Carabinieri dei RIS spiegano di aver rinvenuto 139 tracce compatibili non solo col legno della porta, ma anche con la colla dell’impiallacciatura e resina di finitura della porta su cui Serena avrebbe sbattuto la testa.

Con la requisitoria del pm Maria Beatrice Siravo viene messo un punto. Marco Mottola è il primo ad essere accusato per la morte di Serena.

“L’ulteriore prova dell’aggressione avvenuta contro la porta è stata data dal calco del pugno in 3D realizzato con le mani appartenenti agli imputati Marco Mottola e Franco Mottola. Nessuno dei due calchi è compatibile con il foro presente sulla superficie della porta”

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