Cina, Canada e il caso Huawei

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Di Mario Marrandino

Cina, Canada e il caso Huawei. Bali è stata scenario di tanti faccia a faccia roventi e tra i coprotagonisti del G20, sicuramente Xi Jinping ha avuto un ruolo primario e, oltre all’incontro con Joe Biden, c’è stata un’interessante discussione con il presidente canadese Justin Trudeau, sfociata in un’arringa dai toni particolarmente accesi da parte del leader di Pechino che ha messo in dubbio la lealtà della sua controparte, avendo quest’ultima aperto un franco dialogo coi giornali inerente ad alcune preoccupazioni del leader di Ottawa circa presunte ingerenze cinesi nella politica e nell’economia canadese.

Ph. la Repubblica

Il caso Meng Wanzhou

I rapporti tra i due paesi erano mediamente equilibrati fino al dicembre 2018, data in cui furono disposti gli arresti domiciliari per Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei, nonché figlia del fondatore. I domiciliari arrivarono a seguito di un mandato di arresto con richiesta di estradizione da parte degli USA ai danni di Meng Wanzhou che in quel frangente si trovava a Vancouver; Wanzhou fu intercettata in aeroporto, diretta verso la Cina, e il suo biglietto aereo servì solo a riportarla entro le mura domestiche.

La giustizia canadese fece il suo corso perseguendo i principi delle convezioni internazionali stipulate con gli Stati Uniti, rispettando allo stesso tempo i diritti del soggetto che, secondo le accuse mosse dal tribunale USA, vantava numerosi reati, tra cui violazioni dell’embargo internazionale sull’Iran. Wanzhou ebbe modo di assumere una equipe di preparatissimi avvocati e fu scortata presso la sua abitazione, una villa tutt’altro che modesta, dove avrebbe trascorso i suoi arresti e da cui poteva spesso uscire, per incontri con la famiglia o con gli amici.

La reazione cinese

In Cina la rampolla di Huawei divenne simbolo di una guerra fredda in cui il Canada cercava di minare uno dei colossi dell’economia cinese, per cui era necessaria una controffensiva uguale e contraria per arrestare questo ingiusto tentativo di sabotaggio. Furono arrestati e in maniera raffazzonata processati a porte chiuse un diplomatico e un imprenditore canadese residenti in Cina, accusati di spionaggio e chiusi in cella con pene di dubbia legittimità nelle tempistiche (indefinite per uno, particolarmente elevate per l’altro) e nelle modalità di giudizio e applicazione, in totale antitesi rispetto a quella inferta a Meng Wanzhou.

Il Drago e l’Orso

La vicenda si concluse, a dimostrazione di come la policy cinese reagisce ad azioni esterne, solo quando gli USA rinunciarono all’estradizione di Wanzhou. La strategia di ricatto aveva funzionato e così, conseguentemente, anche i due canadesi furono rilasciati ma da quel frangente i rapporti si incrinarono per sempre, fino ad un tentativo riconciliatore, al summit di Bali, in cui i due hanno avuto modo di dedicarsi del tempo per un incontro bilaterale finito male. Xi avrebbe redarguito Trudeau circa delle informazioni trapelate ai giornali inerenti i temi del loro dibattito: “È stato dato tutto alla stampa e in termini non appropriati, non è così che si è svolto il nostro incontro”. I toni del presidente della Repubblica Popolare erano accesi e con consapevolezza gravi, essendo egli stesso conscio del fatto che nonostante il diverbio avesse caratteri spiccatamente privati, si stava svolgendo avanti alle telecamere di chi fu presente: ennesima dimostrazione di forza del drago cinese che approfitta delle sottotrame della politica internazionale per togliersi i sassolini dalle scarpe colme di gesti d’affronto, per marcare il territorio della sua autorevolezza.