Cosa c’è di vero nel libro ‘’Niente di vero’’ di Veronica Raimo

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Di Alessia Ceci

Il libro di Veronica Raimo, Niente di Vero, è uscito in libreria il 1 febbraio 2022 per Einaudi. Da quel momento in poi il broncio della ragazzina in copertina ha cominciato a circolare ovunque, fino ad aggiudicarsi il Premio Strega Giovani. L’immagine si abbina perfettamente al titolo, un evidente gioco di parole con il nome dell’autrice e uno scherzo al lettore che pone il dilemma già in apertura. Le vicende che racconta sono vere o si è inventata tutto?

Se ne è parlato come un romanzo autobiografico dall’ironia tagliente, un tratto che ha suscitato fin da subito parecchia curiosità. Non avevo mai letto nulla di Veronica Raimo e me ne dispiaccio ma d’altronde, come dice l’autrice stessa, il nome famoso è quello del fratello Christian, assessore municipale e nota personalità della vita culturale di Roma. Di solito quando mi avvicino a una nuova scrittrice o scrittore sono cauta, prima di fiondarmi a leggere indago un po’. Questa volta a convincermi a cedere alla novità è stata Claudia Durastanti, un’autrice che apprezzo molto e che ha scritto: ”Leggere questo romanzo è una festa. Ma molte pagine sono ferite da medusa: bruciano alla distanza”. A posteriori non posso che concordare con lei su entrambe le metafore.

Il ritmo festoso e dirompente del libro di Veronica Raimo

Veronica Raimo - @Rakuten Kobo

Una festa sì perché il ritmo che Veronica Raimo utilizza è vivace, le frasi sono brevi e schiette, come si intuisce dall’esilarante incipit ‘’Mio fratello muore tante volte al mese’’. Come non rimanere rapiti dall’immagine della madre paranoica che chiama insistentemente il figlio al telefono per sapere se è vivo? Inizia così il romanzo, ma forse più propriamente il memoir – visto che quello che si sussegue in ordine temporale sparso sono i ricordi della protagonista. Una serie di bizzarre scenette familiari con sviluppi sempre più insoliti. Ma le ferite, anche se apparentemente celate da un punto di vista singolare e ironico, si insidiano sottili tra una risata e l’altra ed emergono sotto forma di un retrogusto dolceamaro, che si può comprendere solo alla fine e a distanza di giorni.

Una strana famiglia, come tutte

Nel libro di Raimo si muovono principalmente i suoi familiari, ma anche gli amici, le amiche e gli ex fidanzati di cui racconta avventure, gioie e fallimenti. Il centro è dunque lo stretto nucleo di affetti. Un fratello genio inarrivabile e compagno di noia, una madre onnipresente e un padre ipocondriaco, a cui fanno da cornice altre figure grottesche come il nonno e gli zii. Le loro nevrosi, la loro umana limitatezza e il loro sarcastico lessico famigliare – come l’indimenticabile ”siamo arrivati al paradosso” – costruiscono i poli della narrazione, tanto che l’autrice stessa definisce il romanzo come un libro ”sulla nostra [sua e di Christian] famiglia”.

Una carrellata di figure da circo delle quali però Raimo non si vergogna mai del tutto, pur sentendosi distante dai loro modi di fare e dalle loro stranezze. Perché nel libro, tra i tanti temi, si parla anche di questo, della sensazione di sentirsi strani, disallineati dal contesto di origine e dal mondo intero o semplicemente dalle aspettative non rispettate. Come quando l’autrice ricorda il contrasto fisico tra il suo corpo totalmente privo di forme, ritenuto convenzionalmente poco femminile, e quello della zia prosperosa, abile cuoca, delusa per il mancato apprezzamento della sua cucina da parte di una nipote magra e inappetente.

Cos’è la memoria per Veronica Raimo?

L’altro tema che circola prepotentemente tra le pagine è quello della memoria, che sembra essere la chiave di volta di tutta l’architettura letteraria.

«La memoria per me è come il gioco dei dadi che facevo da piccola, si tratta solo di decidere se sia inutile o truccato».

Non solo memoria intesa come disposizione mentale a ricordare il passato distorcendolo a proprio piacimento, ma anche riflessione su cosa significhi scrivere di sé. Quello che Raimo confessa con onestà al lettore è di scrivere selezionando aneddoti dalla sua vita con probabile assenza di obbiettività e quindi di essere totalmente inaffidabile. Mettere in guardia il lettore fin dall’inizio fa parte del gioco. Raimo gioca tantissimo fin da bambina, con le immagini, con le parole e dice un sacco di bugie, fino a confondere anche a sé stessa la sua vera identità.

Quello che rimane (di vero) nel libro di Raimo

Quindi per quale motivo leggere questo libro forse pieno di balle? Perché anche se non sappiamo cosa ci sia di vero in questa auto-fiction non può che rimanere impressa la tenerezza e l’emozione con cui Raimo parla della sua amica Cecilia – a cui il romanzo è dedicato – dalla quale si è allontanata inspiegabilmente e con la quale però non riesce a chiudere davvero. Oppure il buffo rapporto con il padre, che le ritorna in mente dopo la morte del genitore. Perché dietro alle risate ci sono argomenti difficili, come una molestia da parte di un familiare o la maternità indesiderata.

Quello che rimane (di vero) è forse una lezione che potremmo imparare: non sempre i drammi devono rovinarci la vita, si possono invece interpretare da un punto di vista diverso, lontano dal vittimismo e dall’autocommiserazione. Il che non significa sminuire i dolori propri e degli altri, ma guardarli dall’esterno per quello che sono, momenti strani delle nostre vite sgangherate. Ma si può leggere questo libro anche e solo per un altro motivo: il divertentissimo e riuscito esercizio letterario, che lo rende unico e originale. Un esempio di scrittura intelligente e un genere a sé che mancava nella letteratura italiana degli ultimi tempi.

Alessia Ceci

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