Cultura

Canto VII, Dante e Virgilio fra prodighi e avari

Insieme a Dante e Virgilio continuiamo il nostro viaggio all’inferno. Viaggio che ci porta sulla soglia del quarto cerchio del settimo canto, dove i due poeti si ritrovano di fronte il guardiano Pluto Dio delle ricchezze. Al pari dei custodi infernali precedenti Pluto è rappresentato come creatura mostruosa senza tuttavia essere descritto. Percepiamo infatti la sua inquietante mostruosità  attraverso la sola voce rauca, minacciosa, che in una lingua incomprensibile a Dante invoca Lucifero.

Bella la similitudine che chiude l’incontro; alle parole di Virgilio infatti che evoca l’arcangelo Gabriele attraverso la cacciata di Lucifero dal paradiso, la fiera crudele si quieta e cade come le vele gonfie al vento cadono giù quando l’albero che le reggeva si spezza.

Dante Virgilio e Pluto-fonte web
Dante Virgilio e Pluto-fonte web

 In medio stat virtus.

Superato il custode e scesi nella fossa, un Dante sorpreso si ritrova davanti una moltitudine di dannati per la prima volta senza nome e senza volto. “Come le onde che davanti a Cariddi si scontrano con quelle che provengono dal mare opposte”, così qui la gente sembrava presa in un ballo”. Con questa similitudine Dante introduce la pena dei dannati. Gli avari e i prodighi infatti spingono con il petto dei massi, gli uni verso gli altri, imprecando contro l’inutilità di quell’affanno. Per la prima volta qui la punizione riguarda un vizio e il suo opposto. Un peccato come l’avarizia, un troppo poco quindi, che diventa altrettanto vizio nel troppo opposto. Nella mancanza di misura.

avari e prodighi-fonte web
avari e prodighi-fonte web

Riprende qui il principio Aristotelico secondo il quale la virtù sta nel mezzo.  La prodigalità qui è intesa come accumulo di beni materiali e l’avarizia come sete di denaro, ma anche di potere, gloria “di tutti gli splendor mondani”. Dante come sappiamo considera questi i peggiori mali del suo tempo. E da religioso saldo nella sua fede, convinto dell’importanza della missione sacerdotale, egli accusa gli ecclesiastici di essere i maggiori portatori di questa caratteristica. I papi, i cardinali, i preti, li pone davanti a sé nella schiera dei dannati senza possibilità di riscatto. Più importante è il ruolo morale che ricopri nella società maggiore sarà la tua pena.

La fortuna come angelica intelligenza.

Negli improperi che i dannati lanciano l’uno verso l’altro come quei massi che si spingono contro con il petto, sta in realtà tutta la consapevolezza tardiva della inutilità dell’accumulare tutti quei beni terreni materiali e immateriali che gli sono costati la dannazione eterna. Inutilità dettata dal fatto, come Virgilio spiegherà a Dante, che nessuna virtù, nessuno sforzo si può contro il volere della Fortuna. Dante in una maniera dottrinale che ritroveremo da adesso in poi anche in altri canti, introduce qui una teoria teocentrica  della fortuna.

Dante e Virgilio- fonte web
Dante e Virgilio- fonte web

Virgilio la descrive come una intelligenza angelica che distribuisce ogni bene in maniera assolutamente arbitraria. Tutto questo senza che gli uomini possano comprendere quelli che sono i disegni dettati da un Dio il cui volere rimane impenetrabile. Senza che gli uomini possano in nessun modo influire con le loro capacità sul percorso della Divinità; teoria cristiana che verrà ribaltata nell’umanesimo e nel rinascimento: da Machiavelli all’Ariosto.

E via verso la palude Stigia.

Cristina Di Maggio

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