Davide Sartini: manager e autore per le sfide del futuro tra diseguaglianze, ambiente e populismo

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Di Redazione Metropolitan

Davide Sartini non è soltanto un manager. È anche un autore e business partner di CéMente, nonché un accanito cultore della multidisciplinarietà. Nel suo saggio Meteore ha toccato diverse tematiche che riguardano il nostro futuro e che, in gran parte, sono state trattate anche dal Presidente del Consiglio Draghi durante il suo insediamento: il problema ambientale, il gender gap nel mondo del lavoro e l’evoluzione digitale.

In un momento-chiave della storia dell’Europa, abbiamo intervistato un innovation manager le cui osservazioni spaziano tra l’idea di una nuova economia più sostenibile e l’approccio multidisciplinare al mondo del lavoro.

L’intervista a Davide Sartini

L’emergenza pandemica ha stravolto le nostre abitudini. Siamo stati costretti a rivalutare le nostre priorità e le metodologie di lavoro. Partendo dalla sua esperienza come manager e responsabile dell’emergenza pandemica in azienda, cosa può raccontarci?

Anzitutto che è stato un momento molto, molto difficile anche per il sottoscritto, dal punto di vista manageriale e umano. Le persone, in azienda, avevano paura. Fin dall’inizio è stato indispensabile conciliare lo stato emotivo dei singoli con le esigenze dell’azienda. Io mi ritengo una persona razionale, ma nei primi mesi del 2020, specialmente durante il lockdown, con l’annuncio di nuovi DPCM quasi ogni giorno, non era possibile ignorare la paura. Servivano lucidità e disciplina per mettere in moto le procedure, ma anche l’umanità per comprendere i timori delle persone. Ho cercato di parlare molto ma soprattutto di ascoltare, assecondando i bisogni dei colleghi, soprattutto quello di restare in un ambiente più familiare, ovvero quello di casa, dove si sentivano più protetti. C’è poi stata una nuova “ondata di paura” nelle fasi del rientro. In questo caso è stato fondamentale trasmettere a tutti l’idea di avere sotto controllo la situazione. Adesso siamo nel periodo in cui riusciamo a convivere con la pandemia, anche grazie alle procedure attuate all’epoca e al lavoro di ognuno.

Il suo libro, Meteore, è stato scritto proprio durante la pandemia. Si tratta di un testo di saggistica che non rinuncia a diversi spunti autobiografici. Inoltre, sono presenti i contributi di personalità di spicco in varie discipline. Penso a Luca Mercalli, che ha dialogato con lei sul tema dei cambiamenti climatici. Come è nato questo testo?

Dopo aver passato i quarant’anni, colpito come tutti da questo evento drammatico, ho voluto mettere su carta la mia esperienza in ambito professionale e non solo. Il titolo viene da lontano, più precisamente dalla mia passione per l’astronomia. Le meteore sono quelle persone che, nel corso della nostra vita, lasciano un segno e – spesso senza accorgersene – modificano la nostra traiettoria. Pianificare la nostra vita è certamente una possibilità, anche se spesso l’esistenza è un cocktail di eventi casuali e fortuiti; per questo l’intervento di una meteora può generare un cambio di rotta, anche leggero, che a sua volta può determinare il nostro futuro. Le meteore sono persone che di solito restano con noi per poco tempo, quanto basta per lasciare un segno. Sta a noi coglierlo. Le meteore sono anche i personaggi pubblici che, con i loro interventi nel mio libro, trattano tematiche a me molto care come il digitale, l’ecologia e la politica. Sono fonti vive di ispirazione. In Meteore ho voluto raccontare anche alcuni episodi della mia vita, per rafforzare il concetto di “punto di vista”: il mio non vuole essere un libro di verità assolute; piuttosto, una riflessione sul contesto attuale, sulle opportunità e sulle criticità dell’immediato futuro.

Davide Sartini e “l’autodeterminazione”

Si parla molto di “autodeterminazione”, un concetto a cui è dedicato un intero capitolo e che fa la sua comparsa anche nel sottotitolo del libro. Potrebbe spiegarci meglio cosa intende quando parla di autodeterminazione?

Una volta identificato il nostro talento dominante, possiamo coltivarlo con costanza attraverso il processo di autodeterminazione, che consiste nello sviluppare i nostri talenti, nel mondo del lavoro come nella vita privata. Avere dei sogni è fondamentale, ma anche darsi degli obiettivi è essenziale per migliorarsi e restare concentrati. L’autodeterminazione è quel lento ma costante processo che ci aiuta anzitutto a trovare la nostra strada e, successivamente, a percorrerla nel corso del tempo mantenendo a un livello alto la passione e l’entusiasmo. Certo, a volte è inevitabile farsi distrarre. L’autodeterminazione ci permette di restare concentrati su ciò che siamo e sentiamo. Potremmo intenderla in due modi diversi, ma interdipendenti: pianificazione e quotidianità. Nel primo caso si guarda la propria vita dall’alto, individuando obiettivi più grandi; nel secondo ci si focalizza sulle piccole sfide del quotidiano.

Tornando alla pandemia, un punto critico che sembra quasi essere passato in sordina è quello delle diseguaglianze. Quanto ha inciso, secondo lei, l’avvento del SARS-CoV-2 sul rafforzamento delle differenze sociali?

A mio avviso la pandemia ha enormemente aumentato le disuguaglianze e le ragioni sono diverse. Si è parlato molto, ad esempio, di smart working, ma quasi mai l’ambiente domestico è adatto al lavoro. Il luogo di lavoro in azienda permette di uniformarsi; una sorta di inclusività de facto, perché nessuno viene discriminato sulla base delle proprie sfere private. Un altro esempio è il gender pay gap. Si pensi che, di regola, le aziende che riescono a ottenere migliori risultati in termini di performance sono quelle gestite da manager donne. Paradossalmente, però, la pandemia le ha ulteriormente penalizzate. Inoltre, molte relazioni sociali nascono e si consolidano proprio sul posto di lavoro: limitare il tipico incontro davanti alla macchinetta del caffè o in mensa ha penalizzato tutte queste interazioni creando una forma di stress da isolamento.

La pandemia e la sfida del futuro

Nonostante la campagna vaccinale avviata da tempo, è presto per pensare di aver chiuso il capitolo pandemia. Cosa ci ha insegnato questa piaga e quali saranno le sfide del futuro?

Al giorno d’oggi sono in corso tante piccole rivoluzioni intrecciate tra loro. Purtroppo, però, sembra che il mondo si stia “chiudendo”: si pensi ai forti contrasti tra le democrazie e i regimi totalitari. La sfida vera sta nell’affrontare il problema ambientale, che se non risolto in tempo renderà la terra (per usare un eufemismo) “sfavorevole” ai nostri stili di vita attuali. Possiamo cambiare le cose se la politica si rivelerà disposta a innovare il nostro sistema economico e produttivo. Un’altro aspetto determinante sarà quello legato alla pressione demografica e alle grandi migrazioni. Parliamo di esseri umani che vogliono migliorare la loro vita o che fuggono da paesi in guerra. Ed è qui che entra in campo il populismo, un vecchio nemico del secolo scorso che ci ha inseguiti fin qui. Quando va bene, il populismo racconta solo una parte della verità; più spesso, invece, mente sapendo di mentire. Le migrazioni sono sempre esistite e hanno rappresentato un valore per l’umanità, perché consentono alle culture di incontrarsi, crescere e innovarsi. Il populismo manipola e mistifica queste realtà con slogan superficiali.

Qual è la sua “ricetta” per vincere queste battaglie?

Non esiste una ricetta universale. Io credo che sia fondamentale non accontentarsi e porre la nostra attenzione sulla ricerca. Esplorare, incrementare le nostre conoscenze e osare di più possono essere approcci validi, perché ci consentono di ascoltare in maniera diversa i problemi che affliggono questo mondo. Oggi si parla molto di patto generazionale. Potrebbe essere un punto di partenza: finalmente si inizierebbe a pensare al futuro dei giovani. Resta però un altro aspetto fondamentale da risolvere – che vorrei trattare nel mio prossimo libro – ovvero quello delle tre problematiche intrecciate del nostro tempo: il digitale, l’ambiente e la crescita demografica. Questi tre elementi sono inseriti in un contesto socio-politico globale estremamente complesso e incerto. Il “pericolo”, oggi, sono quei governi o regimi che vogliono chiudersi nelle loro scelte egoistiche per tutelare delle rendite ingiustificate. Servono collaborazione e cooperazione, oltre che una nuova lente con cui poter osservare il mondo in un’ottica olistica.

Articolo a cura di Claudio Santoro