Uscirà in Italia il 18 dicembre, salvo imprevisti, Dune, ultima fatica del canadese Denis Villeneuve. Già precedentemente portato al cinema da David Lynch, e trasposto in due serie tv alle quali se ne aggiungerà una terza, Dune di Frank Herbert è il primo volume di una delle saghe di fantascienza più lunghe mai scritte. E Villeneuve non poteva che cimentarsi nella sfida del suo adattamento.
Con protagonista Timothée Chalamet e un cast da sogno che include anche Zendaya, da poco vincitrice da record agli Emmy, il film ha infatti richiesto, oltre a un grande budget, un’enorme dedizione. E l’emergenza sanitaria non ha di certo favorito i progetti di un regista abituato a lavorare a strettissimo contatto con i suoi collaboratori e a lanciarsi in imprese colossali. La carriera di Villeneuve, nominato nel 2019 dalla Hollywood Critics Association “miglior regista del decennio“, vogliamo quindi ripercorrere qui brevemente.
Gli inizi di Denis Villeneuve in Canada
Per la riconoscibilità delle sue opere, e per la capacità di saltare da un genere all’altro senza snaturarsi, il regista ottiene una calda accoglienza nel cinema internazionale. Ma i primi passi li ha mossi in patria, nel freddo Québec. Nel 1998 è in concorso a Cannes e a Toronto Un 32 août sur terre, suo primo lungometraggio. Seguono, sempre in lingua francese, Maelström, Polytechnique e infine, nel 2010, l’acclamato La donna che canta. Film drammatico che impone definitivamente la sua identità di cineasta e lo porta fino agli Oscar.
Il 2013 è quindi l’anno che vede approdare Villeneuve a Hollywood. Dirige infatti Jake Gyllenhaal in Prisoners ed Enemy, due intensi thriller psicologici. Ottiene poi il plauso internazionale con Sicario, ambientato al confine tra Stati Uniti e Messico e interpretato da Emily Blunt. E gli anni successivi sono infine quelli della sperimentazione nella science fiction. Prima dell’inspiegabile flop al botteghino di Blade Runner 2049, sequel del celebre film di Ridley Scott, nel 2016 esce infatti Arrival.
Quando la fantascienza fa pensare
Arrival è un film di fantascienza come pochi ce ne sono, e non a caso ha ottenuto un consenso pressoché unanime. La storia racconta il misterioso arrivo di dodici astronavi aliene che si stagliano, immobili e silenziose, sui cieli cupi di vari paesi del mondo. Per comprendere il perché della loro apparizione, una brillante linguista (Amy Adams) viene chiamata a cercare un modo di comunicare con la specie che le abita.
E allora l’intero film si costruisce su un’ipotesi linguistica esistente (quella di Sapir-Whorf), senza perdere per questo vigore, anzi trovandovi la sua forza. Una forza che sta nella meravigliosa fotografia e nella recitazione, ma naturalmente soprattutto nella sceneggiatura e nella regia, che regala infatti un film che è tanto delicato quanto potente nel messaggio di solidarietà che manda. E se questo è il modo di fare fantascienza di Villeneuve, che ha ottenuto per Arrival 8 nomination agli Oscar, tra le quali quella al miglior film, non possiamo che aspettarci il meglio da Dune.
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Manuela Famà