La storia di Diana Spencer a parole sue: già il titolo del documentario di Tom Jenning è una dichiarazione di intenti. Un film dal punto di vista volutamente parziale che dà voce alla diretta protagonista delle più grandi speculazioni mediali degli ultimi quarant’anni.
L’immagine di Lady D, inseguita e forgiata dai giornalisti sin dal 1981, assume una nuovi tratti, se ancora possibile, con questa straordinaria raccolta di materiale inedito.

L’idea di un ulteriore documentario su Diana
Diana: In her own words, infatti, rende pubbliche per la prima volta le interviste segrete registrate dalla Principessa nel 1991, per conto del giornalista Andrew Morton. Morton, fu da lei incaricato di scrivere un libro sull’esperienza nella famiglia reale nel momento più critico del matrimonio con Carlo. All’inizio degli anni Novanta, infatti, la loro storia era già ufficiosamente terminata e l’annuncio della separazione arrivò poco dopo, il 9 dicembre 1992.
Dal best seller di Andrew Morton
Morton recapitò le sue domande alla Principessa, senza mai incontrarla. Le registrazioni, infatti, avvenivano durante gli incontri privati fra Diana e il suo terapista vocale, il Dott. Colthorst. Pubblicò il celebre libro Diana: Her True Story, nel giugno 1992, senza rivelare che la sua principale, forse unica fonte, fosse proprio la Principessa. Lo scandalo fu tale da costringere anche Buckingham Palace a dissociarsi da qualsiasi coinvolgimento con il libro.

Inoltre, attraverso le testimonianze ricevute egli rese pubbliche per la prima volta molte informazioni delicate. Tra questa ovviamente la depressione di Lady D, i suoi tentativi di suicidio e, soprattutto, la gelosia nei confronti di Camilla Parker-Bowles. Il mito della Principessa infelice, e molti dei film che ne derivarono, nacque proprio dalla pubblicazione del libro di Morton. Dopo la sua morte il giornalista decise di ripubblicarlo ammettendo il coinvolgimento di Diana. Cambiò inoltre il titolo, trasformandolo in quello poi usato da Jenning per questo documentario.
Controversie del documentario
Nel 2017, per il ventennale dalla morte di Lady D, la trasmissione di In her own words in televisione fu inizialmente ostacolata da Charles Spencer, fratello di Diana, e dalla famiglia reale stessa. Il motivo apparentemente fu proprio la quantità di materiale inedito e sconosciuto, dato in pasto all’opinione pubblica. La verità è che, nonostante le aspettative, c’è ben poco di ufficiale o totalmente affidabile in queste testimonianze.

Ed è per assurdo ciò che lo rende davvero interessante. Dopo decenni trascorsi ad ascoltare le versioni di chiunque, possiamo finalmente ascoltare la voce di Diana nel documentario. È chiaro, ed è accuratamente dichiarato, che gli eventi narrati siano filtrati solo e unicamente attraverso la sua visione. Non c’è controparte. Si tratta già di un privilegio, tuttavia, porsi in ascolto della sua prospettiva. Attraverso le sue parole, per esempio si può capire che al momento dell’incontro con Carlo la sua stabilità emotiva era già compromessa.
La scoperta della relazione di lui con Camilla, pochi mesi prima del matrimonio, non fa che peggiorare le cose. Provenendo da un’infanzia infelice, da una famiglia spezzata e genitori affettivamente assenti, sperava in qualcosa di molto diverso per sé. È di questo periodo l’insorgenza della sua bulimia.

I tormenti di Lady D
Bulimia, depressione e autolesionismo: Diana ne parla con naturalezza e con una certa, impressionante, consapevolezza nelle registrazioni. Quell’improvviso dimagrimento prima delle nozze, scambiato dai media per semplice vanità, nascondeva questioni ben più gravi. Questioni che nessuno mai dentro la famiglia reale decise di affrontare adeguatamente. Terribile, per esempio, è il suo racconto della prima gravidanza, durante cui ammette al microfono di essersi gettata giù dalle scale di casa.
Con tutto ciò che questa dichiarazione sottintende sul suo stato mentale e sul supporto psicologico che troppo spesso non ha ricevuto.

Le dichiarazioni di Diana arrivano in un momento di particolare lucidità, dovuto anche a una terapia psichiatrica che lei confessa di aver intrapreso poco prima. Alla fine, ciò che lo spettatore trae dal film è una maggiore e tragica consapevolezza del suo malessere. Un malessere alimentato dalle scelte compiute e dalle persone al suo fianco, ma da sempre presente in lei.
Senza suscitare alcuna pietà, In her own words restituisce quell’imperfezione umana che i media avevano strappato via a Diana Spencer. Rappresentata da subito come una “Principessa delle favole”, il documentario ne espone invece le ferite e le crocifissioni interne, come le chiamava lei. Mostra e ammette la sua immaturità, la sua ingenuità, la sua crescita all’interno di un contesto in cui si è sempre sentita sola, contro tutti.
Articolo di Valeria Verbaro
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