Cultura

Dieci domande a Vincenzo Albano

Una piacevole chiacchierata con l’operatore culturale di Salerno.


MMI: Chi è Vincenzo Albano e cosa è Erre Teatro 

V.A : Vincenzo Albano: una persona che ha fatto del teatro una scelta e che persegue, nonostante tutto, il suo obiettivo. L’associazione Erre Teatro è lo strumento creato per tentare di raggiungerlo, oltre che l’espressione di una certa ostinazione.

Vincenzo Albano - foto privata
Vincenzo Albano

MMI: Sei tornato al Sud, sei rimasto e hai costruito un solido progetto artistico. Lo rifaresti? 

V.A: Sono andato via da Salerno in più di un’occasione, per periodi anche abbastanza lunghi, per ragioni di studio e per successivi percorsi professionali. Non sempre per scelta sono poi tornato, a dir la verità. L’ultima volta coincide con la fine di alcune esperienze che sembrava stessero delineando per me un destino diverso. Il progetto artistico cui fai riferimento, che oggi fa base a Salerno e che vede in “Mutaverso Teatro” la sua egida più rappresentativa, è nato da quelle ceneri: dal momento in cui ho deciso fermamente di rimanere più che di tornare, di dare maggior valore al mio tempo e di considerare il peso specifico delle concrete prospettive nascoste dietro le effimere occasioni. Qualche cruccio certo ce l’ho, così come qualche irreale smania di mollare tutto per reinventare me stesso, ma non vivo di ripensamenti, quindi sì, rifarei ciò che ho fatto, con la dedizione di sempre.

MMI: Raccontaci di Mutaverso, i progetti per il suo futuro e le tue ambizioni.

V.A: Mutaverso Teatro è la Stagione di cui sono direttore artistico e che mi accingo a presentare per il quinto anno. Consta mio malgrado di soli otto/nove spettacoli nell’anno solare, che propongo prevalentemente nella sala Auditorium del Centro Sociale di Salerno. Lo spazio mi viene concesso di volta in volta e di conseguenza nulla è possibile prevedere, nulla pianificare che non sia episodico, circostanziale. Mutaverso Teatro accade, il che è già un risultato per me, ma è molto lontano da ciò che a mio avviso potrebbe essere. Il suo futuro ha la fisionomia d’una esperienza artistica permanente e trasversale, nei contenuti e nei linguaggi, con una tenitura annuale, e in uno spazio più adatto ai suoi obiettivi. Potrebbe canalizzare e coordinare certamente più persone e più attività. Le mie ambizioni personali coincidono con le prospettive e le aspettative di Mutaverso.

Vincenzo Albano - da Mutaverso
Vincenzo Albano

MMI: Come si colloca il tuo progetto nel contesto teatrale cittadino e regionale?

V.A: Come associazione, ma ancor prima come singolo professionista, convivo a Salerno con una pluralità sfaccettata e dinamica, nella quale però si confondono troppo spesso gli orientamenti culturali con le pratiche sociali, le espressioni “amatoriali” e le propedeutiche professionali. È un marasma che orizzontalizza scelte, tempi e competenze che difficilmente possono incontrarsi nella prassi professionistica; senza contare le economie, su cui i dominus già la fanno da padrona. Fatico in questo senso a vedermi riconosciuto in città un ruolo, pur nella singolarità del mio percorso di studi e del mio apprendistato; pur nella riconoscibilità del progetto Mutaverso. Incoraggiante è al contrario la piccola “task force” con altri operatori campani, una sorta di rete non istituzionalizzata tra territori che finalmente non si ignorano e che ricolloca Salerno nella geografia di una certo fermento teatrale. Con una tale enfasi non capitava da decenni. Credo di poterlo dire.

da Flickr Erre Teatro
da Flickr Erre Teatro

MMI: Costruire un pubblico educato al teatro è un compito arduo, i Teatri Nazionali spesso falliscono, tu ci sei riuscito. Qual è la tua strategia?

V.A: Un giorno, forse, potrò permettermi strategie più disparate di “audience development”. Tutto ciò che ancora riesce è frutto del “porta a porta”, del passaparola, delle intraprendenze mie e di Stefania Tirone. A ricambiare i nostri sforzi, e ne siamo contenti, è la partecipazione empatica prima ancora che numerica, e credo che anche per gli artisti nostri ospiti sia così. Tanto si può fare e a tanto pubblico ancora si può arrivare, ma subentrano qui i nostri limiti. Non abbiamo una leva teatrale che faccia “quadrato” attorno a un progetto, scarsi sodalizi (per non parlare di presenze) da chi invece l’ha costruita, economie peggio che risibili, zero risorse umane al punto che sia io che Stefania siamo al tempo stesso operatori, maschere, botteghino, facchini, runner, cuochi. Due o quattro braccia in più aiuterebbero.

In termini di “strategia” una cosa però sento di dire. Artisticamente ho fatto scelte chiare, anche a rischio di esclusioni e malumori, e ho sgombrato subito il campo dal pensiero che i miei programmi potessero essere mere occasioni per una “data”. Se questa è stata – ed è – una strategia, allora sì, il pubblico me l’ha riconosciuta, premiando l’identità della proposta, al di là della soggettività delle preferenze.

dal sito della Rassegna Mutaverso
dal sito della rassegna

MMI: Il tuo spettacolo teatrale preferito.

V.A: Ho preferito, e preferisco, quel teatro capace di alimentare ancora la mia perseveranza, capace di venirmi a scovare quando più lo rifuggo per noia, stanchezza o disillusione; quel teatro in grado di  parlare alla mia emotività, di colmare le mie lacune, di stimolare un certo stupore, sospendere la mia incredulità. Ho preferito, e preferisco, il teatro degli incontri belli, positivi, tra “persone” prima ancora che tra “teatranti”.

MMI: Che ruolo ha la Critica Teatrale oggi?

V.A: Ha un ruolo cruciale nel decriptare quanto sottende a una messinscena, per farne testimonianza e documento. Il web è oggi una fonte preziosissima, seppur dispersiva per contenuti e a volte per reali competenze. Ultimamente, però, riflettevo su due cose: sulle responsabilità che ha nell’aver generato forse dei “mostri” e sul fatto che l’incontro tra le compagnie e gli operatori avviene in modo troppo preponderante non per esperienza diretta, ma per mediazione delle “firme”. Questo accade secondo me perché il piccolo operatore non sempre ha la possibilità di mettersi in viaggio e vedere. Qualche accortezza o considerazione in più per questa figura non sarebbe una cattiva cosa. L’operatore potrebbe girare molto più, cercare riscontri tra la letteratura critica e la propria opinione, scegliere con maggiore consapevolezza e aderenza alla linea artistica che propone al pubblico, non limitandosi al solo sfoglio di mail e allegati.

Vincenzo Albano - foto privata
Vincenzo Albano

MMI: Il pubblico moderno esige l’immediatezza delle cose, il teatro secondo te deve reggere “il passo dei tempi”? 


V.A: La dimensione più efficace del teatro sta proprio nel suo anacronismo, quindi non credo debba farlo né credo debba entrarvi in competizione. Detto ciò, molta immediatezza andrebbe ritrovata nella semplicità degli elementi primari del teatro. Da spettatore, prima ancora che da operatore, penso che l’esigenza del pubblico, non sempre soddisfatta, sia soprattutto quella di ascoltare storie, non intese nella loro linearità narrativa piuttosto come vite e mondi che spesso ci appartengono, foss’anche per un solo istante, come singoli e come insieme. A volte si dimentica questo dettaglio, l’autonomia artistica diventa autoreferenzialità creativa e il teatro si riduce a circolo per noi addetti, fino agli esiti completamente inutili e controproducenti di certi spettacoli. Va ricreata un’abitudine al teatro a partire da noi che lo facciamo.

MMI: Momento spot: raccontaci di nuove realtà teatrali che a tuo avviso si faranno sentire.

V.A: Ti rispondo come per le mie preferenze e, ancora una volta, non per diplomazia.

da Facebook
da Facebook

MMI: Parlaci di quel delizioso progetto di spettacoli sulle barche…

V.A: Amo molto il mare e ho un personale affetto per Cetara, borgo marinaro della costiera amalfitana.  Avevo inizialmente caldeggiato la singola ospitalità dell’attore calabrese Carlo Gallo, immaginando la poppa di una delle tonnare del paese come palcoscenico per il suo “Bollari”, spettacolo delle indubbie pertinenze con le specificità e con le tradizioni cetaresi. Mi era sembrato un incontro tra territori da realizzare e del tutto possibile. Da qui in poi la suggestione di metterla in moto per davvero la tonnara, creare l’inedita atmosfera di un palcoscenico sull’acqua, in navigazione, e strutturare per esso una proposta artistica in cui il teatro potesse farsi esperienza, ricordo, fuori dai canoni di una consueta fruizione. La piccola magia di “Teatri in Blu” sta a mio avviso nelle relazioni che crea, anche con la “informalità” di un buon calice di vino e di un piatto di pasta cucinato a bordo dai marinai.

Ho trovato in questo la complicità attiva dell’amministrazione comunale, dell’armatore e del suo equipaggio, dei privati. Il progetto anno dopo anno trova la sua giusta fisionomia e mi piacerebbe esplorare le sue declinazioni, già tutte nella mia testa. Lo immagino come progetto più ampio e ha i connotati di un piccolo festival costiero, anche in più Comuni. Perché no. La posizione strategica di Salerno, tra due coste meravigliose, quella amalfitana e quella cilentana, non è per nulla da sottovalutare.

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