Difendersi dalla “Politica 3.0”

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Di Redazione Metropolitan

Social, disinformazione, fake news, giornalismo fazioso. La politica italiana di oggi muove i propri fili attraverso una comunicazione digitale fuori controllo, che rischia di alterare sensibilmente la realtà.

Indignarsi è facile, soprattutto se il fatto ci riguarda da vicino. Ed è appurato che proprio su questo riflesso condizionato (degno del miglior Pavlov) la politica italiana ha ormai raggiunto picchi di “eccellenza” oltremodo imbarazzanti. E non è un caso che oggi siano proprio il “Movimento 5 Stelle” e la “Lega Nord” i due partiti più discussi a riguardo, e non solo per il fatto che i suoi maggiori rappresentanti siano rispettivamente “Ministro dello Sviluppo Economico” e “Ministro dell’Interno”.

Da un lato, infatti, abbiamo il maggiore esponente, dal 2010, del binomio “democrazia-web” attraverso i social (che, parafrasando il sommo Umberto Eco, “ha restituito il diritto di parola anche agli ignoranti”), dall’altro il tipico caso dell’allievo che supera il maestro, con conseguenze tragicomiche per l’identità stessa del nostro Paese.

Di Maio e Salvini, fonte www.ilsole24ore.com

Mai come negli ultimi 10 anni, a ben vedere, l’informazione politica ha mosso i propri fili quasi esclusivamente attraverso l’intricata trama della rete telematica, una ragnatela che (come la più naturale delle conseguenze) non ha fatto altro che catturarci tutti come mosche dirottando la nostra attenzione sui temi più svariati, alimentando per lo più timori e dubbi sui quali piantare il seme della fidelizzazione.

A fare da sfondo all’intera faccenda, ovviamente, è stato  l’inesorabile declino della “vecchia politica”, il cui linguaggio reso celebre da anni e anni di “Berlusconismo” ha restituito nell’ultimo ventennio (visti anche i risultati in termini di crisi economica, sociale e culturale) rabbia, frustrazione e sfiducia nei confronti della Destra e della Sinistra, per così dire, “ricche”.

Non più giornali e tv, ma tweet e dirette in tempo reale: così i rinomati comizi di piazza hanno assunto una dimensione “smart” a portata di cellulare, dove l’impatto di pubblico è garantito nell’immediato come il più comune effetto di marketing.

Non più politici o partiti, infatti, ma veri e propri brand! E se i protagonisti del M5s hanno saputo muovere i primi passi nella “propaganda web” attraverso temi di interesse sociale come i vaccini, le scie chimiche e il complottismo in generale, sono stati sicuramente Salvini e il suo entourage ad aggiudicarsi il primato odierno nel “gioco dell’informazione”, con l’obiettivo di sviare il pensiero dell’opinione pubblica.

Non un fenomeno nuovo, naturalmente: ma oggi gli effetti nel breve e lungo termine sono senz’altro da considerarsi assai più preoccupanti di quanto non lo fossero negli anni 70 e 80, quando il messaggio politico era ancora unicamente materia di manipolazione attraverso comizi pubblici e articoli di giornale estremisti.

Logica dei media

Tra velocità e disinteresse

La semplicità è la chiave di volta per comprendere la politica 3.0. “Se non sai dirmelo in meno di 140 caratteri, non mi interessa”. E come per magia, twitter è tornato ad essere un social di rilevante interesse pubblico, almeno da quando l’ufficio stampa che si occupa del profilo del nostro Ministro dell’Interno (se non altro perché nessun altro politico nostrano si è mai speso in termini propagandistici nella stessa maniera) ha saputo improntare definitivamente la battaglia per la conquista del consenso popolare sulla base di un’agenda setting sapientemente studiata a tavolino, perché di base si lega (come vuole la tradizione) a quegli argomenti che suscitano maggiormente l’interesse di ciascuno di noi: il lavoro, la salute, il futuro.

Il tema dell’immigrazione, in questo senso, è diventato (oltre che il più gettonato negli ultimi due anni) il punto di congiunzione di quanto appena detto, nonché una testimonianza esemplare di questa rinomata strategia del consenso. A riprova di ciò, è sufficiente segnalare proprio l’ultimo caso, quello della Sea Watch 3 e della sua protagonista Carola Rackete.

E’ soprattutto il linguaggio imbarbarito, potenziato già dai vecchi slogan di dubbio valore patriottico (“Prima gli Italiani”), a fare ulteriore presa e restituire al leader della Lega Nord il plauso da parte di chi lo scorso anno era entrato ufficialmente a far parte della legione dei 5.634.577 di votanti: insulti alla magistratura, anteporre la propria propaganda (in tv e di piazza) agli impegni di carattere europeo (unica via, finora possibile, per discutere gli accordi di regolamentazione del flusso di migranti dall’Africa), additare l’opposizione di incapacità ad ogni occasione buona, screditare i pareri di pensatori, sociologi e intellettuali, sostenere con forza la difesa dei confini nazionali a scapito dei diritti umanitari.

Il rischio maggiore che si sta correndo, di fronte al ripetersi costante di un simile meccanismo di comunicazione e informazione, è quella di alimentare un’instancabile macchina del fango che ci si sta ritorcendo contro, sommergendo noi per primi nel pantano della “realtà alterata” e faziosa.

Basti considerare le già conclamate “fake news” create ad hoc per screditare la capitana della Sea Watch: il padre venditore di armi (in realtà di sistemi difensivi ad uso militare e civile), la Rackete sprovvista di patente nautica (laurea conseguita nel 2011 e titolo ufficiale maturato grazie all’esperienza sul campo), il banchetto dei parlamentari (un vistoso fotomontaggio), l’intervista realizzata dal “Corriere della Sera” (mai avvenuta!), le foto dei migranti palestrati e in forma ecc.

Carola Rackete – Google

“Fake news”, confirmation bias, disinformazione e misinformazione.

L’assunto che fin qui è possibile elaborare è piuttosto intuitivo: nella comunicazione politica odierna ad avere maggiore importanza non è il “valore” delle dichiarazioni o delle notizie, bensì il loro “volume”. Quello che anche dai neuroscienziati è stato definito come uno stadio mentale simile al “sogno ad occhi aperti”, non è altro che una costante alterazione dei confini della realtà che la maggior parte di noi insegue in virtù di un presunto appagamento emotivo, tesi avvalorata da una delle conseguenze più dirette della produzione di “fake news”: la “confirmation bias”.

Con questo termine intendiamo, banalmente, la tendenza psicologica a filtrare gli argomenti di nostro interesse (sulla rete e non solo) allo scopo di avvalorare ulteriormente il nostro “pensiero” già forgiato, scongiurando il rischio di confronto o ritrattazione. Ed è così che l’informazione diventa puro e semplice “intrattenimento” mediatico, dove la velocità, la spettacolarità e il grado di coinvolgimento hanno come nuovo comun denominatore per il marketing del consenso il “clickbait”.

A farne le spese, naturalmente, sono la veridicità delle fonti e lo sviluppo di un pensiero personale e genuino, poiché sono entrambe schiave del tempo e vittime di due degli effetti culturalmente più devastanti oggi presenti: la disinformazione (la deliberata creazione di notizie false per scopi politici o commerciali) e la “misinformazione” (la diffusione involontaria di informazioni false), che sembrano rimbalzare continuamente come due palline da ping pong da un lato all’altro del sistema politico italiano.

Ancora una volta, gli strumenti per difendersi sembrano essere quelli meno considerati, dato che sposare il pensiero del proprio leader politico è molto più semplice e meno dispendioso che metterlo  in discussione e forgiarne uno meno contaminato: dubitare, filtrare, verificare.

Jacopo Ventura