Cultura

Dogman | Il mondo è spietato

Dogman: l’ultimo film di Matteo Garrone, fresco vincitore di ben 9 David di Donatello, riporta l’attenzione sulle periferie italiane, troppo spesso dimenticate e abbandonate dalle istituzioni.

Dogman ha incantato proprio tutti, sia in Italia che all’estero, partecipando in concorso anche al Festival di Cannes 2018, dove Marcello Fonte è stato premiato come migliore attore protagonista.

La storia

Marcello è un uomo mingherlino, di piccola statura, che vive nella più degradata periferia romana. Di professione fa il “Dogman“: il toilettatore di cani, come recita l’insegna ormai invecchiata sulla vetrina del suo negozio. Adora la figlia, i suoi cani, ed è benvoluto da tutto il vicinato. Alle volte, per portare a casa qualche spicciolo in più, spaccia cocaina.

Questo piccolo giro di droga gli attira le “simpatie” di Simone, il tipico gigante dalla testa vuota, un piccolo criminale che comunica solo tramite la forza bruta. Simone è il terrore di tutto il quartiere: sfascia, rompe, picchia, e nessuno si azzarda a contraddirlo, in particolare Marcello, che si lascia spesso coinvolgere in rapine e altri piccoli atti criminali.

Dogman , una scena del film - immagine web
Dogman , una scena del film – immagine web

Ma Simone si spinge sempre più in là, fino a lasciare che Marcello si prenda la colpa per un furto che non ha commesso e sconti al suo posto un anno di carcere. E questo non basta, perché, uscito di galera, Marcello si trova a dover convivere con il disprezzo dei vecchi amici, che lo credono colpevole.

La situazione del protagonista diviene così disperata da spingerlo a trovare il coraggio di ribellarsi: rinchiude Simone in una gabbia per cani, e lo obbliga a chiedere scusa. Ma il bruto non si dimostra un animale mansueto, e gli eventi precipitano al punto da costringere Marcello ad uccidere il suo vessatore pur di mettersi in salvo.

Il finale del film è uno dei momenti più riusciti. Il protagonista all’inizio tenta di liberarsi il più in fretta possibile del corpo, dandogli fuoco. Ma quando si accorge che i suoi vecchi amici giocano a calcetto lì vicino, lo coglie quasi un raptus. Deve mostrare il cadavere del nemico, così che loro possano perdonarlo. Corre a spegnere le fiamme, si carica il corpo pesantissimo sulle spalle, e porta il bottino agli amici. Quando arriva però, questi sono scomparsi nel nulla, non rispondono ai suoi richiami.

Non capiamo se questa scena sia reale o frutto della fantasia di Marcello. Ma in fondo quello che ci interessa è cercare di entrare nella mente disperata del protagonista, che sì, si è liberato del suo aguzzino, ma potrà mai più essere felice? Potrà mai dimenticare quello che ha fatto?

Dogman – una denuncia sull’abbandono delle periferie

Luoghi Dogman film
I luoghi di Dogman (immagine dal web)

C’è una scena in particolare in cui si mette in evidenza tutta la disperazione e la solitudine della condizione del protagonista. Marcello è alla polizia, è il principale sospettato della rapina, ma il poliziotto che è con lui capisce di essere difronte ad un innocente. Gli chiede allora di parlare, di denunciare il vero colpevole. Sarà protetto. Ma Marcello sa benissimo che questa protezione che gli si prospetta non esiste, non c’è nessuno in grado di proteggerlo da Simone. Così sceglie il male minore, il carcere, sperando nella riconoscenza del suo aguzzino, che non arriverà mai.

Questo momento così drammatico ci fa quasi arrabbiare, è possibile che non ci sia via d’uscita? E’ possibile che la giustizia non sia in grado di proteggere un innocente?

Ed è questo forse il punto focale del film, quello su cui Garrone voleva mettere l’accento. Non è la prima volta, infatti, che nei suoi film mette in evidenza la situazione disperata delle grandi periferie: lo ha fatto con Gomorra e la criminalità organizzata napoletana. Ma il lavoro realizzato con Dogman è diverso, e ci colpisce ancora più intimamente; vediamo il dramma di un uomo solo, abbandonato dalle istituzioni, costretto a farsi giustizia da sé.

Anche Dogman, come Gomorra, prende avvio da fatti di cronaca. In questo caso ad aver ispirato il film è il cosiddetto Delitto del Canaro della Magliana, un efferato omicidio avvenuto nel 1988. Il film di Garrone trae spunto dalla vicenda, ma si distacca dagli avvenimenti reali, soprattutto nel finale, dove sono assenti i tratti di orrenda efferatezza che caratterizzarono il vero omicidio.

Ancora una prova, questa, del fatto che le condizioni di vita nei quartieri periferici di Roma, come in quelli di molte altre città italiane, non sono differenti da quanto mostrato nel film. Ed è sicuramente un merito di Garrone quello di continuare a portare alla luce queste storie, perché si conoscano, e questi luoghi non vengano dimenticati.

La modernissima regia di Garrone

Utlimo plauso va fatto alla regia di Matteo Garrone, incredibile nel mettere in risalto l’orrore delle vicende che racconta. Il suo stile di grande impatto visivo colpisce lo spettatore con immagini potenti, dirette, prive di orpelli. E’ un tipo di regia che lo allontana fortemente dai colleghi italiani, rendendolo un unicum di grande riconoscibilità, molto vicino alle tendenze internazionali.

E, per una storia come quella del Canaro della Magliana, una regia spietata come quella di Garrone era perfetta, quasi necessaria. Sono tanti i momenti del film in cui teniamo il fiato sospeso, quasi ci copriamo il viso con le mani per proteggerci dalla spietatezza di Simone. Siamo dentro la storia, la viviamo insieme ai protagonisti, e questo grazie all’ottimo lavoro della regia, del montaggio e anche della sceneggiatura.

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