Esteri

Donald Trump incriminato (per la terza volta) per l’assalto al Congresso

Donald Trump è stato incriminato per la terza volta in meno di cinque mesi. Stavolta per il suo ruolo nel tentativo di sovvertire il risultato elettorale delle presidenziali del 2020.

Quattro i capi d’accusa contestati, tra cui il più grave, messo al primo posto, quello di “aver cospirato per frodare gli Stati Uniti“. Il terzo atto ha seguito il percorso degli altri due: a fine marzo Trump aveva anticipato la sua incriminazione a New York per il pagamento in nero a due donne pronte a rivelare nel 2016 la relazione extraconiugale con l’allora candidato presidente.

Poco dopo l’atto era diventato ufficiale. Poi a giugno era successo a Miami, Florida, quando il tycoon aveva anticipato le mosse della procura, gridando all’ennesima “caccia alle streghe”.

E l’incriminazione, puntuale, era arrivata, quella volta per 37 reati, legati al trasferimento illegale di documenti riservati dalla Casa Bianca al resort di Trump, a Mar-a-Lago.

Intanto in un messaggio video Trump conferma la corsa per la Casa Bianca: «Mi attaccano da sinistra e da destra, i marxisti, i comunisti e i fascisti, ma noi non solo sopravvivremo, saremo più forti che mai». E ancora: «Abbiamo vinto nel 2016, abbiamo avuto un’elezione truccata nel 2020 e vinceremo nel 2024. Renderemo l’America ancora grande. Non ho dubbi su questo». Il New York Times ha pubblicato le accuse del procuratore, che occupano un totale di 45 pagine. L’ex presidente è accusato di:

  • aver cospirato per cercare di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020;
  • di aver ostacolato la procedura di certificazione del voto e di aver cospirato per farlo;
  • di aver violato i diritti civili dei cittadini statunitensi per invertire i risultati elettorali negli stati.

Il procuratore Smith ha ricostruito l’accusa: «Nonostante avesse perso», Trump «era determinato a restare al potere. E così per più di due mesi dopo le elezioni del 3 novembre 2020 ha diffuso bugie» sul fatto che il risultato del voto era frutto di frode e che lui aveva vinto. Affermazioni false, che sapeva essere false ma che ha ripetuto e disseminato per farle apparire «legittime e creare un’atmosfera di sfiducia e rabbia».

Donald Trump non ci sta

Secondo l’accusa l’ex presidente «aveva il diritto, come ogni americano, di parlare pubblicamente delle elezioni e anche falsamente affermare che erano state determinate da frodi. Era anche autorizzato a chiedere verifiche sui risultati tramite modalità legali e appropriate», si legge nella seconda pagina dell’incriminazione. Ma «i suoi sforzi di cambiare il risultato del voto in ogni Stato tramite il riconteggio non hanno avuto successo». C’è anche uno spazio dedicato a Mike Pence. L’ex presidente ha cercato di convincere il suo vicepresidente «a usare il suo ruolo cerimoniale per la certificazione del voto, per alterare il risultato delle elezione». E quando questi tentativi sono falliti, ha cercato di «usare la folla dei suoi sostenitori radunata a Washington per fare pressione sul vicepresidente affinché alterasse in modo fraudolento i risultati elettorali»

«Perché non l’hanno fatto due anni e mezzo fa? Come mai hanno aspettato così tanto? Perché volevano che accadesse proprio durante la mia campagna», ha detto Trump. Che conserva comunque la lealtà di buona parte del suo partito. Dominando i sondaggi per la nomination repubblicana e allargando anche il gap con il numero 2, il governatore della Florida Ron DeSantis. «Chi si pone al di sopra della Costituzione non dovrebbe mai essere presidente degli Stati Uniti», ha detto martedì primo agosto il suo ex vicepresidente, anche lui in corsa per la nomination.

Pulsante per tornare all'inizio