Dustin Hoffman e il fallimento come virtù: il piccolo grande uomo compie 84 anni

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Di Redazione Metropolitan

L’attore due volte premio Oscar (“Kramen contro Kramen” e “Rain Man“) compie oggi 84 anni. Versatile, mimetico, mai scontato: Dustin Hoffman, attore, regista, produttore, vanta una lunga carriera cinematografica in cui ha dato corpo e voce a personaggi tra di loro diversissimi se non antitetici. Personaggi di forte drammaticità e complessità con i quali attraversa più di trent’anni di cinema americano. Un unico denominatore comune: quell’archetipo dell’imbranato che Hoffman ha sempre ironicamente delegato a sé stesso, riconoscendovi il proprio punto di forza. Nel giorno del suo compleanno lo omaggiamo ricordando una delle sue principali massime di vita: l’importanza di imparare dal fallimento dosando con misura il successo.

“Non credo che si impari niente dal successo: impari bensì dal fallimento, dagli errori, dalle delusioni.  Il successo non riempie alcun vuoto interiore, quelli dentro che ti portano all’auto-distruzione, droga, alcol, eccessi. Il successo non ti guarisce, non ti cambia, non ti migliora.”

Un imbranato perfetto

Proprio dall’errore e dall’incertezza sembra avviarsi la carriera dell’attore.

Figlio di un tecnico attrezzista, nasce l’8 agosto 1937 a Los Angeles, California. Dustin, che porta il nome di Dustin Farnum (grande attore del cinema muto), si dimostra ben presto affascinato dall’ambiente cinematografico della scintillante Hollywood. Inizia a studiare pianoforte coltivando anche la recitazione ma senza dedicarvisi completamente. E’ verso la fine degli anni Cinquanta che Dustin abbandona la facoltà di medicina, e decide di trasferirsi a New York per studiare recitazione. Con nulla in tasca e la voglia di sfondare come attore, è costretto a lavori umili per sopravvivere nella Grande mela.

“Ero un outsider. Arrivai a New York e pulivo gabinetti.”

Nel 1960 vince un’audizione e ottiene un ruolo in una produzione off-Broadway, “Yes Is for a Very Young Man“. Negli anni successivi recita in qualche altra piccola parte ma niente di decisivo. Dustin trova il coraggio di mettersi in gioco fino in fondo iscrivendosi al celebre Actor’s Studio e imparare il metodo Lee Strasberg. E’ nel 1967, durante la gavetta in teatro, che viene notato dal regista Mike Nichols e ottiene il ruolo ne “Il Laureato“. Il film lo trasforma in breve tempo da caratterista a candidato agli Oscar, aprendogli la strada ad Hollywood.

E’ lo stesso Hoffman in un’intervista a ricordare come furono il suo aspetto e i modi impacciati a permettergli di conquistare la parte del goffo neolaureato. Era così nervoso al provino che pensò sarebbe stata la sua ultima volta ad Hollywood, si rivelò totalmente sbagliato ma proprio per questo perfetto nei panni dell’imbranato. Il suo debutto coincise con il primo grande successo e Il decollo della sua carriera con quello dell’archetipo dell’imbranato in cui si è sempre rispecchiato.

Le interpretazioni da Oscar

Grazie alla grande versatilità e uno studio minuzioso e costante, Dustin Hoffman attraversa i generi passando dal western (“Il piccolo grande uomo“, 1970) al thriller (“Cane di paglia“, 1971), dalla commedia (“Tootsie“, 1982) al genere drammatico (“L’uomo da marciapiede“, 1969) o quello impegnato politicamente (Tutti gli uomini del presidente, 1976). Restituendo interpretazioni sempre intense e credibili, vede il coronamento delle tante candidature nel 1980 con l’interpretazione nei panni di Ted, marito di Joanna (Meryl Streep) in “Kramer contro Kramer“.

Non tarda la seconda statuetta quando nel 1988 l’incredibile performance in “Rain Man“, per la regia di Barry Lavinson, gli fa aggiudicare il premio Oscar come migliore attore protagonista.

“Il successo non ti guarisce, non ti cambia, non ti migliora.”

Il segreto della sua carriera, spiega il grande attore sempre autoironico e pronto a scherzare, risiede nella mediocrità estetica, nel non doversi mai preoccupare dell’aspetto fisico e di una bellezza da mantenere. Così com’era stato per l’ottenimento del primo grande ruolo, sentire di far parte di “una nouvelle vague dei brutti di fascino, del sex-appeal inverso, è ciò che mi ha fatto arrivare così bene agli 80″-ironizza il premio Oscar- “Io, Hackman, Pacino, in parte De Niro, Elliot Gould, i primi che mi vengono in mente, ci ritrovammo beatamente all’avanguardia di un assalto cavalleresco fortunato: il protagonista dall’aspetto mediocre”.

Quando oggi lo si definisce una leggenda vivente o gli si ricorda il magnifico lavoro di doppiaggio in “Kung Fu Panda” (2008), Dustin Hoffman non riesce a non sottolineare: “L’uomo da marciapiede non lo ricorda nessuno, ahimé, e nemmeno Il piccolo grande uomo“. Dei suoi primi anni di carriera Dustin Hoffman rievoca spesso:

“Il timore del fallimento è stato una costante. Per questo tuttora cerco di migliorarmi: la perfezione non esiste, ma la perfettibilità è un imperativo e un processo che non finisce mai. Chiamateli pure esami, come diceva il vostro grande De Filippo: ogni mio film è un esame da superare, lo sento ancora così”.

Arianna Panieri

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