Il termine Ecofemminismo nasce nel 1974, ma già negli anni ’60 questo movimento si propone di indagare le connessioni esistenti fra ambientalismo, animalismo e femminismo. Oggi il tema è più attuale che mai: la subordinazione della donna in quanto tale e l’abuso delle risorse naturali, così come lo sfruttamento degli animali, sono azioni mirate dall’uomo che promuovono un sistema valoriale basato sul capitalismo e il patriarcato.

Ecofemminismo, origine e teorizzazioni

Ecofemminismo
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Il lemma Ecofemminismo, coniato da Françoise d’Eaubonne, risale al 1974; tuttavia gli ideali del movimento risultano già attivi dagli anni ‘60. Fin dal principio il movimento ecofemminista si è preposto di indagare e analizzare le connessioni esistenti fra sessismo, abuso delle risorse esistenti in natura e sfruttamento degli animali. L’ecofemminismo, infatti, ritiene questi tre fenomeni interconnessi sia a livello storico che concettuale, tanto da divenire un unico macro-blocco argomentativo che non potrebbe, in questo senso, esser compreso se trattato attraverso una scissione. In un’epoca in cui si parla di cambiamento climatico e i diritti delle donne l’ecofemminismo non può che essere estremamente attuale. La filosofia alla base di questo movimento postula come l’ecologia e il femminismo siano più che mai interconnessi, molto di più di quanto si creda.

Un’idea che nasce da una considerazione di base; la condizione della donna e quella ambientale, essendo connesse, devono necessariamente esser risolte insieme. Non è semplice stabilire o circoscrivere una definizione univoca del movimento ecofemminista, proprio perché presenta diverse sfumature. Lo si potrebbe definire come una sorta di attivismo che congloba il benessere della natura con i diritti della donna, in una prospettiva che lotta contro la disuguaglianza.

Patriarcato, capitalismo e crisi climatica

Una delle tesi più accreditate dell’analisi ecofemminista postula come la proprietà maschile dei terreni abbia promosso una cultura dominatrice sconfinante nel patriarcato. In seguito, questo modus operandi, si sarebbe tradotto attraverso esportazioni e sfruttamento di animali – pascoli, per esempio – persone e risorse. Secondo questa concezione e in un’etica non proprio ecologista, gli animali e la terra avrebbero importanza solo se sfruttati come risorsa economica: in sostanza, il loro valore è prodotto da uno sfruttamento che mira alla produzione e al guadagno. In questa visione ne consegue che capitalismo, sfruttamento, degrado ambientale e dominio maschile risultino fortemente connessi. Nel 1987 la filosofa americana Karen Warren scriveva:

L’attuale dibattito femminista sull’ecologia solleva importanti e opportune questioni sull’adeguatezza teoretica delle nostra principali versioni del femminismo: liberale, marxista, radicale, socialista. Se l’ecofemminismo è vero o almeno plausibile, allora ciascuna delle quattro correnti principali è inadeguata, incompleta o problematica come base teoretica per l’ecofemminismo”.

Il degrado della natura, secondo la concezione ecofemminista, coincide con la svalutazione della donna. Françoise d’Eaubonne in Femminismo o morte, manifesto dell’ecofemminismo, spiega come la natura sia stata prima dominata e poi inferiorizzata in modo simile a quanto capitato, nella storia, alla donna. Alla base di questa teoria c’è una disuguaglianza di fondo che pone le donne come prime vittime in quasi tutte le crisi che si susseguono, siano esse climatiche, sociali, o economiche.

Ecofemminismo, la prospettiva in due correnti di pensiero

L’ecofemminismo ha avuto uno sviluppo non omogeneo per cui, nel tempo, si sono create due correnti di pensiero dominanti basate sul modo di intendere l’identità femminile. La prima filosofia vira su un tipo di ecofemminismo definito ”classico”, che intende la donna come un’entità più vicina alla natura e al suo eco-sistema sia in termini biologici che ontologici.

La seconda prospettiva si definisce, invece, costruttivista. Questa concezione si fonda su basi più scientifiche e analizza le condizioni storiche ed economiche all’interno dei vari contesti sociali, in modo tale da creare evidenze metodologiche più dimostrabili. A questo proposito Janet Biehl, artista americana e autrice di di numerosi libri e articoli associati all’ecologia sociale, critica l’idealismo di molte ecofemministe, appoggiando la corrente costruttivista. Biehl disapprova il misticismo di alcune teorie legate all’ecofemminsimo classico che si concentra più su idealismi, senza basi scientifiche, che sull’attuale e concreta situazione della donna, nel mondo.

Stella Grillo

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