Femvertising, l’evoluzione della figura femminile all’interno della pubblicità

Foto dell'autore

Di Stella Grillo

Dal 2014 il neologismo Femvertising è entrato a far parte nell’ambito del marketing. Il Femvertising è una strategia di comunicazione che combina il femminismo alla pubblicità, servendosi dell’utilizzo dei social e combattendo gli stereotipi di genere all’interno di essa. Ma come è cambiata la figura della donna all’interno della pubblicità, nel tempo?

Femvertising, genesi e filosofia pubblicitaria

Femvertising
Photo Credits – Valori.it

Il termine nasce nel 2014 e deriva dall’unione tra feminism e advertising, femminismo e pubblicità. Il neologismo nasce in occasione di un evento, Adweek, tenutosi a New York. Questo tipo di comunicazione presenta una figura femminile forte e positiva e si pone come obiettivo quello di combattere gli stereotipi di genere servendosi dei social media. Negli ultimi tempi i social sono diventati il mezzo principale anche per la diffusione delle ideologie appartenenti ai movimenti femministi; il Femvertising, a tal proposito, si inserisce all’interno del femminismo di quarta ondata che si sviluppa a partire dagli anni 2010.

Peculiarità che distingue il femminismo di quarta ondata, dai precedenti, è l’approccio metodologico, ovvero l’utilizzo dei social media e dell’intersezionalità. Il Femvertising è un certo tipo di filosofia pubblicitaria che condanna quella pubblicità che mira ad assegnare delle etichette, dei ruoli comportamentali stereotipati, e che sessualizza, oggettificandolo, il corpo femminile.

Attualmente i social sono uno strumento fondamentale per veicolare messaggi e abbattere barriere; la filosofia marketing che abbina il femminismo alla pubblicità ha come obiettivo anche il prendere posizione contro quelle campagne pubblicitarie che, invece, relegano principalmente la figura femminile in narrazioni obsolete, patriarcali e sessualizzate.

Come è cambiato lo stereotipo femminile nelle campagne pubblicitarie

Fra gli anni ’50 e ’60 vigeva ancora una cultura fortemente maschilista. La donna era vista come una figura dedita alla famiglia, ai figli e alla casa. La fruizione delle campagne pubblicitarie avveniva attraverso Carosello, un programma televisivo che fungeva da ”contenitore” pubblicitario. Durante Carosello sono andati in onda spot che, nel tempo, sono diventati iconici. Celeberrimo lo spot del detersivo per bucato Ava Mira Lanza che ha dato i natali al noto personaggio di animazione Calimero. La figura femminile, in questi anni, si accinge a rientrare in una concezione canonica per il tempo: la donna è una mamma o una casalinga, per lo più borghese. A tal proposito, la figura femminile è esclusivamente associata a prodotti per la cura della casa e la manutenzione domestica; detersivi, cibo, igiene.

Negli anni ’70 si assiste a una svolta: la donna mamma che ha le fattezze di i Marion Cunningham, il celebre personaggio di Happy Days, è adesso percepita come un oggetto da sessualizzare. Negli anni ’70, il corpo della donna diventa estremamente provocatorio, sensuale e malizioso. Nasce, in questo periodo, la ”donna oggetto”: i prodotti sono presentati servendosi dell’avvenenza femminile. Il corpo è quindi un mezzo che serve ad attirare chiunque abbia un potenziale d’acquisto; un noto marchio di birra utilizza una donna nuda, con sguardo ammiccante, mentre abbraccia la bottiglia della bevanda in questione. In questo caso, la campagna pubblicitaria si rivolge a un gruppo circoscritto: attirare l’attenzione maschile per un prodotto, ai tempi, pensato per gli uomini. Un esempio di stereotipo che il Femvertising combatte.

Femvertising, l’indipendenza femminile degli anni ’80 e la recessione economica degli anni ’90

La prima metà degli anni ’80 vuole una donna snella, longilinea, in forma e con un corpo privo di imperfezioni. Il corpo magro, tonico e allenato è il modello predominante che diventa presente anche negli spot pubblicitari. Ma, successivamente, qualcosa cambia: l’emancipazione femminile sembra, piano piano, dominare la scena. La donna della seconda metà degli anni ’80 scardina la relegazione di ruolo che la vuole perfetta e ”mamma borghese” per avviarsi verso l’indipendenza e la libertà.

Questo è il periodo della ”contaminazione dei generi”, soprattutto nella moda che si apre ai prodotti unisex. Le donne si vestono con abiti da uomo e decolla la cosmesi maschile, prodotti un tempo fruibili solo al genere femminile. Yves Saint Laurent, nel 1988, raffigura una donna in carriera, vestita con una giacca: indumento prettamente maschile. La casa automobilistica Lancia, invece, mostra una donna in smoking e mocassini: si potrebbe dire un vestiario – simbolo, un tempo, utilizzato esclusivamente dagli uomini.

Il decennio degli anni ‘90 è, imvece, contrassegnato dalla recessione economica. Si ampliano le catene di supermercati, le pubblicità si rivolgono a chi ha potere d’acquisto: il ceto medio alto. La crisi economica imperante, e l’avanzare delle differenze sociali, approda a un momento storico in cui la figura femminile è percepita attraverso varie sfumature. In questo periodo si celebra ancora l’autonomia femminile; si parla di post femminismo e il mito del nudo predomina come i primi anni ’80, seppur diversificato nei suoi intenti. Iconico lo spot Martini del 1993, dove una giovanissima Charlize Theron si allontana ammiccante, con passo sensuale, lasciando scoprire il fondo schiena dal noto escamotage del filo. Nella pubblicità degli anni ’90 la donna ha consapevolezza del suo fascino e della sua sensualità.

Gli anni 2000 e il ruolo della figura femminile oggi nella pubblicità: inclusività e Femvertising

Molte pubblicità dei primi anni 2000 riprendono alcuni stereotipi di genere degli anni precedenti. Ritorna il modello della magrezza che è applicabile al bello; alcune pubblicità di noti brand ,poi, suscitano molto scalpore in quanto tendono a erotizzare la violenza all’interno della campagne pubblicitarie. Dal 2010 in poi, invece, si inizierà a utilizzare lo spazio pubblicitario non più volto all’esaltazione della donna come oggetto o come relegata in uno stereotipo fisso; è la volta dell’inclusività. Un esempio lampante è la campagna DoveGlobal Campaign for Real Beauty” lanciata nel 2004. Il marchio non esalta la figura femminile sfruttandone l’immagine; non si serve della donna per far sì che il prodotto presentato possa ”adescare” un certo tipo di potenziale compratore.

Le protagoniste della campagna sono donne diverse: diversi corpi, nazionalità, fisicità, etnia. Diverso è inclusività, diverso è conoscenza, è realtà. Il messaggio che Dove vuole veicolare mira all’identificazione, al sottolineare l’unicità di ognuno; ogni spettatrice può identificarsi nei corpi delle modelle, in quanto non esiste una bellezza unica, fissa e oggettiva. Il ruolo della donna nella pubblicità del nuovo millennio è quello di ”comunicatrice”; si può essere belle, sensuali, intelligenti, indipendenti senza appartenere a un’etichetta fissa. E, soprattutto, la funzione della figura femminile è ora quella di rappresentare un ideale in cui la donna può facilmente riconoscersi. Il Femvertising è ancora oggi fondamentale nonostante si siano fatti passi avanti; interviene sulle coscienze e sul pensiero collettivo ricordando l’importanza del ruolo femminile all’interno della società, affinché non si considerino le donne come soggetti da oggettificare ma come figure forti, indipendenti e libere.

Stella Grillo

Seguici su Google News