Uno dei più famosi pittori norvegesi e in generale uno tra i maggiori esponenti della pittura mondiale, tra 1800 e 1900. Edvard Munch, noto a chiunque per la sua celebre opera “L’urlo“, dipinge gli stati d’animo che vive in un’esistenza sfortunata e angosciata. L’esperienza personale, segnata da momenti difficili e fragilità psicologica, trovano spazio nelle sue tele, pennellata dopo pennellata, nella narrazione dell’angoscia e della malinconia.
L’infanzia difficile di Edvard Munch
Loten, 12 Dicembre 1863, nel gelido inverno Norvegese viene al mondo Edvard Munch. Della provincia in cui nasce non porta praticamente niente con sé: quando ha solo un anno, la famiglia si trasferisce a Oslo. Passano pochi anni e quello che è solo un bambino, deve già imparare a conoscere il dolore. Nel giro di poco tempo Edvard Munch perde la mamma e l’adorata sorella di tubercolosi, dramma immenso che trova spazio nell’opera “Pubertà”.
Suo padre, col quale non possiede un grande rapporto, cade in preda a un profondo esaurimento nervoso. Il suo lavoro non è abbastanza, la povertà attanaglia la famiglia e persino la zia va fuori di testa. Il povero Munch non trova un supporto ed è circondato da adulti in preda alla paranoia, che lo aiutano solo a mettere insieme le fondamenta per la sua visione angosciata del mondo.
L’apice dell’angoscia: L’urlo
Battuto all’asta da Sotheby’s per quasi 120 milioni di sterline, “L’urlo” di Munch è uno dei quadri più noti al mondo. Realizzato nel 1893, rappresenta uno stato d’animo così palese e chiaro a chiunque, che risulta difficile non apprezzarne l’essenza. Sembra di percepire il suono, oscuro e atroce dell’angoscia che divora quel che resta di questo uomo al passeggio. Le vibrazioni acute del malessere deformano persino l’ambiente circostante; come quando il male interiore condiziona il mondo circostante.
La figura centrale, che si ispira a una mummia rinvenuta in Perù, non viene considerata dai due passanti nel fondo. La sordità e l’indifferenza verso il malessere altrui sono rappresentate in questo modo, tra il rosso del cielo e un mare che diventa quasi melmoso. Oggi sono molte le celebrità che provano a descrivere l’importanza della salute mentale. Munch ante litteram, fa lo stesso, attira il fruitore verso un problema: l’ansia, l’angoscia, la paura e quell’instabilità così tipica anche del nostro secolo.
Le influenze e gli ultimi anni
Come spesso accade nella storia dell’arte, anche Edvard Munch non aveva pianificato la sua vita da pittore. Inizia infatti i suoi studi come ingegnere e risulta anche molto portato per le materie scientifiche. Ma quegli anni bui che vive, lo portano altrove. Si rifugia tra le pagine di Edgar Allan Poe e passa giornate intere senza dire una parola, a disegnare. Così papà getta la spugna e lo iscrive a una scuola di disegno.
Nonostante sia una tendenza comune pensare allo stile di Munch come quello dell’Urlo, le sue influenze sono diverse. In un viaggio a Parigi nel 1889 infatti, ha modo di entrare in contatto con artisti come Vincent Van Gogh, Henri de Toulouse-Lautrec e Paul Gaugin al quale si ispira moltissimo. Dopo un’esistenza segnata da crolli nervosi, il colpo di grazia arriva negli anni ‘40 del 1900 con la propaganda nazional socialista che rimuove le sue opere dai musei, parlando di “arte degenerata“. Edvard Munch muore nel dolore a 80 anni, nel 1944.
Claudia Sferrazza
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