Elogio dell’italiano

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Di Redazione Metropolitan

“Le parole sono importanti!”, urlava un esasperato Nanni Moretti nel suo sempre-troppo-poco-considerato “Palombella Rossa” (1989) dopo aver rifilato un paio di ceffoni “correttivi” alla sfortunata intervistatrice impersonata per l’occasione da Mariella Valentini.

Ed è sull’aria di questa citazione che, volendo investire una parola fra tutte del ruolo di istantanea fotografica, mi viene spontaneo restituire al lettore quella che più riesce a fare da sinonimo all’accezione di “popolo italiano” in questo momento storico: ovvero, “frustrazione”.

Il massimo risultato ottenuto dagli italiani, almeno negli ultimi 30 anni, è stato senza dubbio quello di essersi meritati l’appellativo di “frustrati”. Di fronte allo specchio di una realtà sempre più tragi-comicamente simile alla allegorica società degli animali “fantasticata” da Orwell (anche se non ci troviamo nella parentesi storica compresa tra la Rivoluzione russa e le gesta staliniane), è inevitabile percorrere le strade di questo Paese senza incappare nel malcontento generale dei suoi abitanti, che nel loro profondo disagio alimentato dai burattinai delle istituzioni politiche, e non solo, hanno trovato terreno fertile per coltivare una “logica dell’individuo” basata essenzialmente sull’antico adagio latino “mors tua, vita mea”. E visto che prendersela con il meridionale non basta più, è ormai tornato di moda puntare il dito contro lo straniero. Un tipico copione in bianco e nero degli anni 30, insomma.

Non è difficile immaginare come, anche questa volta, il Ministro dell’Interno si sia sfregato con immensa goduria i suoi tozzi “zoccoli” alla notizia (uscita nelle ultime ore) dell’autista italiano di origini senegalesi che, esasperato dalle politiche migratorie degli ultimi mesi, avrebbe voluto tradurre la propria disperazione in un gesto eclatante che poteva costare la vita ai 51 alunni provenienti dalla scuola Vailati di Crema. Ad amplificare la potenza mediatica del fatto non sono mancati, naturalmente, le indagini sui precedenti penali del 47enne (gli ultimi 15 con regolare assunzione presso la ditta Autoguidovie), fra i quali spiccano due denunce in stato di ebbrezza (2004 e 2006) e una condanna in via definitiva (ma sospesa) per molestie sessuali (2018).

Da qui all’ennesima “caccia alle streghe” indirizzata verso lo straniero il passo è breve seppure “curioso”, se si fa fede ai dati ISTAT che incoronano “l’italiano” primatista assoluto nel reato di violenza sessuale (dallo stalking al femminicidio), oltre che primo responsabile di incidenti stradali dovuto all’uso di alcol e altre sostanze (secondo la percentuale effettiva di guidatori spalmata sull’intero Stivale). Dulcis in fundo, il totale degli stranieri residenti in Italia ammonta a circa 5 milioni, all’interno di una popolazione reale di oltre 60 milioni. Il 7% insomma, o meglio ancora, 1 straniero ogni 10 abitanti italiani. Beata ipocrisia.

Ad aggiungere lustro a questa cornice tipicamente patriottica c’è il persistente tema dell’economia, imparentato poi con quello del lavoro, che il mangiatore di rospi leghisti dilettante Di Maio ha ben pensato (per salvaguardare la coerenza del programma di governo penta-stellato) di contenere grazie alle briciole del reddito di cittadinanza gettate in pasto al cittadino affamato. Come dire, “copriamo la voragine con un fazzoletto”. 

Ma un operaio o piccolo imprenditore italiano che si toglie la vita dopo aver perso il lavoro o l’azienda dall’oggi al domani a causa di una crisi che probabilmente affonda le proprie radici nella “Svolta Ciampi” del 1992 (a seguito della forte svalutazione della Lira) fa meno presa sull’opinione pubblica di uno straniero X da additare a “reale responsabile” della mancanza di assunzioni e ricambio generazionale nei vari settori.  Difficile dire se il reddito promosso dai 5 Stelle sortirà degli effetti positivi sulla comunità, ormai profondamente disgregata e avvelenata dall’individualismo più becero. E’ già difficile immaginare così un rilancio sano dell’economia, ma qui ci fermeremo per non rischiare di mettere a cuocere nel calderone troppe spezie.

“Tutti gli animali sono uguali. Ma alcuni sono più uguali degli altri”. Per cui se le pecore non fanno altro che belare, è anche giusto che i maiali governino la “fattoria” a proprio piacimento.

Jacopo Ventura