Signore e Signori, Elvis ha lasciato l’edificio

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Di Redazione Metropolitan

Ladies and Gentlemen, Elvis has left the building. Se eravate tra gli spettatori ad un concerto di Elvis Presley e ascoltavate questa frase, significava che a nulla sarebbe servito sperare in un bis: lo spettacolo era finito, il Re era sceso dal palco e aveva lasciato l’edificio, ma non prima di aver dato tutto sé stesso e aver ripetuto ancora davanti agli occhi di migliaia di persone la sua magia. Il 26 giugno di 43 anni fa queste parole riecheggiarono per l’ultima volta alla Market Square Arena di Indianapolis. Sei settimane dopo Elvis morì a Graceland, casa sua, durante una pausa in vista di un nuovo tour. Non salì mai più su un palco, ma ormai aveva già cambiato il mondo.

Elvis Presley - Photo Credits: Getty Images
Elvis Presley – Photo Credits: Getty Images

Numeri da Re

Ai lati del corteo funebre del Re del Rock ‘n’ Roll, il 18 agosto 1977, ci fu una ressa di persone. Circa ottantamila si radunarono davanti a Graceland. Sul prato del mausoleo al cimitero di Forest Hill furono posate più di tremilacento composizioni floreali. I funerali furono seguiti in diretta televisiva da milioni di persone.

Già quattro anni prima Elvis aveva tenuto incollati allo schermo più di un miliardo di spettatori in quaranta paesi diversi, ma quella volta fu per il suo concerto Aloha from Hawaii. D’altra parte, quando si accostano numeri ad Elvis Presley, si parla sempre di cifre da capogiro. Ha venduto più di un miliardo di dischi. Si è esibito in 1.684 concerti. È l’unico artista al mondo ad essere entrato in quattro Hall of Fame: rock, gospel, country e rockabilly. La sua residenza di Graceland è divenuta monumento nazionale americano ed è il secondo sito più visitato negli Stati Uniti, dopo la Casa Bianca.

Ma questi, appunto, sono solo numeri e, per quanto clamorosi e difficilmente eguagliati da altri artisti, non bastano a raccontare l’uomo Elvis Aaron Presley, il Re del Rock ‘n’ Roll Elvis Presley e l’impatto devastante che l’uomo e il Re hanno avuto sulla musica, il costume e la società di tutto il mondo.

Elvis Presley “That’s All Right (Mama)” – Prima incisione 1954

“Prima di Elvis non c’era niente” John Lennon

Il Big Bang del Rock ‘n’ Roll

Guardatevi intorno. Fate attenzione a quello che ascoltate. A quello che vedete. La maggior parte di ciò che ascoltate e vedete non sarebbe così com’è se un giorno del 1954 un giovane ragazzo proveniente da una famiglia povera del sud degli Stati Uniti non avesse inciso, per una piccolissima etichetta discografica di Memphis (Sun Records), la sua versione di That’s All Right, un pezzo blues di Arthur Crudup.

Tecnicamente quello che fece Elvis fu incrociare il blues nero, che aveva ascoltato fin da bambino a Tupelo, col country e il blugrass dei bianchi, dei quali aveva frequentato le scuole. Ciò che non si aspettava di certo era che da quel momento in poi la sua vita sarebbe cambiata, perché la musica di tutto il mondo sarebbe cambiata.

Nell’America degli anni ’50, soprattutto negli stati del sud, i bianchi ascoltavano la musica dei bianchi, i neri quella dei neri. Non si incontravano. Non si mischiavano. Ad Elvis tutto questo non importava. Lui era cresciuto cantando alle messe gospel, frequentando musicisti blues e ascoltando musica country. I suoi interessi erano trasversali. Cantava e suonava ciò che amava di più, oltrepassando colori ed etichette. Appena la sua musica iniziò a circolare, i ragazzi americani telefonarono le radio per sapere chi fosse quel nero che cantava pezzi country o quel bianco che cantava pezzi blues.

Elvis Presley - Photo Credits: Getty Images
Elvis Presley – Photo Credits: Getty Images

In principio un’immensa oscurità copriva la terra. Poi, in un attimo di luce, ecco materializzarsi la speranza, il sesso, il ritmo, le possibilità, un diverso modo di guardare, di percepire, di pensare, di muoverti e di vivere. Le barricate sono cadute! Risuona un canto di libertà!

Bruce Springsteen, nella sua autobiografia, descrive con queste parole il momento in cui per la prima volta vide Elvis cantare e ballare in televisione all’Ed Sullivan Show. Un uomo e la sua chitarra in quel momento rappresentarono una rivoluzione epocale. Non era soltanto una nuova musica, era una nuova idea di libertà.

Quel ragazzo cantava, ballava, contorceva le gambe e dimenava il bacino in un modo mai visto e consentito prima. E infatti fu prontamente censurato: i cameramen lo ripresero tutto il tempo dalla cintola in su. Ma non servì a nulla. Il vento del cambiamento aveva già soffiato e aveva spazzato via nel lampo di una canzone i castelli di carta di una nazione bigotta e castigata, parlando, per la prima volta, direttamente ai giovani e mostrando loro un nuovo mondo possibile, un mondo di neri e di bianchi insieme, “un mondo sotto la cintola e sopra il cuore”.

Dal canto suo, il ragazzino Keith Richards, nascosto sotto le lenzuola con la radiolina sintonizzata sulle frequenze di Radio Luxembourg, attento a non svegliare i genitori, ascoltò per la prima volta Heartbreak Hotel cantata da Presley. “Come un’esplosione nella notte. Non avevo mai sentito niente di paragonabile. Eppure, era come se lo stessi aspettando, quel momento. Quando mi svegliai il giorno dopo ero un’altra persona.”

Elvis Presley – Medley 1968
Targa Commemorativa nel luogo dell'ultimo concerto di Elvis ad Indianapolis
Targa Commemorativa nel luogo dell’ultimo concerto di Elvis ad Indianapolis

La folle corsa

All’incrocio tra Alabama e Market Street, ad Indianapolis, dal 2002, c’è una targa commemorativa ad indicare il luogo in cui il Re del Rock ‘n’ Roll si è esibito per l’ultima volta. C’è anche una capsula del tempo che ha un appuntamento ben preciso: sarà aperta nel 2102, a cento anni da quando è stata posizionata. Al suo interno: delle foto di Elvis, una sciarpa da lui donata a un’ammiratrice, un catalogo di Graceland, lettere dei fans e una cassetta con la registrazione di quell’ultimo concerto del 26 giugno 1977.

A quel concerto Elvis arrivò dopo l’ennesimo tour estenuante, in cui si era per lo più mostrato debole e in sovrappeso. Debilitato dalla cattiva alimentazione, lo stress, l’abuso di farmaci, spesso non ricordava pezzi delle sue stesse canzoni: il fantasma del terremoto che era stato. Dell’animale da palcoscenico capace di controllare l’umore della platea con il solo gesto di una mano o uno sguardo sensuale. L’uomo la cui faccia era riconoscibile in qualsiasi angolo del pianeta.

In pochissimi anni, a quel ragazzo del sud, erano successe così tante cose dalla portata inimmaginabile, che, a guardarla col senno di poi, la sua corsa folle non poteva che terminare con uno schianto.

Elvis Presley - Photo Credits: web
Elvis Presley – Photo Credits: web

In piena ascesa, aveva dovuto affrontare la morte della madre, alla quale era legato più che a ogni altra persona, perdendo il suo principale punto di riferimento. Il suo manager, quell’essere mitologico metà figura paterna e metà burattinaio, meglio conosciuto col nome di Colonnello Parker, lo aveva portato su vette che nessuno mai aveva raggiunto, pretendendo però un prezzo altissimo: mentre intorno a lui la rivoluzione a cui lui stesso aveva dato inizio evolveva, Elvis fu costretto a rinunciare a parte della sua libertà artistica, specialmente durante gli anni ’60 in cui dovette girare più di 30 film per vendere altrettante colonne sonore, producendo una musica nella quale non si riconosceva, che non aveva voglia di cantare e che generò in lui un’enorme frustrazione.

Quando finalmente decise di smetterla col cinema e di tornare a fare musica, dopo un periodo di rinascita creativa, il Colonnello prese di nuovo le redini e lo impegnò in tour infiniti in cui spesso doveva esibirsi due volte al giorno. Elvis perse anche il punto fermo della moglie Priscilla, dalla quale divorziò. Prima di salire sul palco era un fascio di nervi. A spettacolo terminato era sfinito, svuotato da tutta l’energia profusa durante il concerto. I fan assistettero al suo inarrestabile declino.

Durante una conferenza stampa a Las Vegas, alla domanda se fosse o meno soddisfatto dell’immagine che aveva creato, rispose che l’immagine era una cosa e l’essere umano ne era un’altra. Gli chiesero quanto l’immagine somigliasse all’uomo. Elvis affermò che era “davvero molto molto difficile essere all’altezza dell’immagine”.

Can’t Help Falling in Love – Elvis Presley ultima esibizione

Ladies and Gentlemen, Elvis Presley… per l’ultima volta

Nonostante questo, quel 26 giugno alla Market Square Arena di Indianapolis, davanti a un pubblico di 18.000 persone, il Re sembrò cantare con un trasporto e un’energia che erano mancati nei suoi ultimi concerti. Ripercorse le tappe della sua carriera, ringraziò alcune persone del suo entourage, chiamò sul palco suo padre Vernon.

Rese delle straordinarie versioni di Unchained Melody e Bridge Over Troubled Water. Come di consueto, terminò lo spettacolo con Can’t Help Fallin’ in Love, un brano che ogni volta sembrava voler rinnovare il suo affetto e la sua gratitudine ai fans. Quella sera la interpretò in maniera particolarmente toccante, per poi ringraziare e salutare un’ultima volta il suo pubblico che non gli aveva mai fatto mancare l’amore, quello stesso amore che dura ancora adesso, per nulla scalfito dal tempo.

Ladies and Gentlemen, Elvis has left the building. Elvis ha lasciato l’edificio. Il Re è morto, per trasformarsi definitivamente in Leggenda.

Emanuela Cristo

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