Una pellicola del 2018 che ha offerto a Denzel Washington la nomina all’Oscar come Miglior Attore Protagonista, “End of Justice“, ad oggi realizza in immagini un argomento quanto mai attuale: quanto siamo disposti a rischiare e ad infrangere la legge per ottenere un tornaconto personale?
Il trasformismo in ogni fotogramma
Una Los Angeles violenta, sporca è il luogo in cui trova spazio la vicenda persona e lavorativa di Roman J. Israel (Denzel Washington), avvocato afroamericano affetto dalla sindrome di Asperger. Lo vediamo nascere come un personaggio idealista, attivista e onesto, non incline ad accettare compromessi, per di più se ingiusti e contrari all’etica professionale del suo studio e a quella sua personale. Dietro ai suoi occhiali parla con sincerità, segue la legalità e non teme di criticare né di condannare idee immorali socialmente accettate. Dopo la scomparsa del suo socio, Roman accetterà un nuovo incarico presso un altro studio legale, gestito da una figura ambiziosa e determinata George Pierce (Colin Farrell). Il nuovo studio è orientato verso criteri lavorativi, quali denaro, successo fama e riconoscimento sociale, totalmente diversi da quelli dello studio precedente e questi valori cambieranno profondamente anche la personalità di Roman. La nuova vita sembra piacere al dinamico e rinnovato avvocato, che vediamo trasformato nel suo aspetto esteriore, dall’abbigliamento al modo di vestire, dal suo stile di vita, dall’arredamento della casa al suo modo di muoversi e di parlare in tribunale. Insomma è una persona intrinsecamente diversa.
Ma presto, se non quasi da subito, lo spettatore intuisce che accadrà qualcosa di inaspettato e spiazzante. Roman commetterà un’azione immorale che lui stesso sentirà di dover quasi espiare: renderà noto qualcosa di importante e delicato, sul quale doveva vigere il silenzio. Ma la sua delazione verrà scoperta e le conseguenze che ne scaturiranno, come le minacce di morte e la paura, lo porteranno a rivedere tanti aspetti della sua nuova e immorale vita.
Le opinioni della critica su “End of justice”
Nonostante le nomination ed il cast che non si fanno di certo parlar dietro, il film è stato definito confusionario e poco convincente dalla critica. Se infatti Denzel Washington riesce a tener testa ad una trama caotica e disordinata, non pochi allo stesso tempo sono i luoghi comuni che si succedono l’uno dopo l’altro. L’avvocato attivista afroamericano risucchiato dalla voragine del denaro e del successo che si vende per una “taglia” sulla testa di un suo assistito, il repentino cambio di vita e di personalità legato al nuovo studio legale, la perdizione e la redenzione.
Questi chiari indizi, disseminati nella pellicola dal regista (Dan Gilroy), ci rimandano al lampante segnale del titolo “End of justice” e alla traduzione italiana “Nessuno è innocente”, che veicolano al pubblico un messaggio diretto. Nella realtà globalizzata nella quale viviamo oggi, in cui la vita di tutti i giorni ci orienta e spesso ci sovrasta, i confini delle categorie di giusto o sbagliato, legale o illegale, vittima o carnefice, morale o immorale, appaiono sfumati e spesso si confondono l’uno nell’altro. Ciò che appare dalla superficie esterna delle cose, non sempre ne rappresenta l’essenza più intima ed autentica. Vogliamo farci definire dal corso inesorabile degli eventi e dalla loro pre-determinatezza, o piuttosto vogliamo determinarci in maniera autonoma come individui con una personalità soggettiva?
“Continuerai a farti scegliere, o finalmente sceglierai?”
Francesca Romana Negro
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