Èva Fahidi, la ballerina sopravvissuta all’Olocausto

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Di Marianna Soru

In occasione della Giornata della Memoria, in questo nuovo appuntamento con Passi di danza scopriamo la vita di una donna straordinaria: Èva Fahidi. Sopravvissuta all’Olocausto, Èva è un’artista poliedrica. Si occupa infatti non solo di danza, ma anche di teatro e scrittura (è autrice di alcuni libri come L’Anima delle cose, che racconta la sua testimonianza). Deportata nel 1944 presso il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, a soli 18 anni, è l’unica sopravvissuta della sua famiglia.

Nata nel 1925, cresce a Debrecen, in Ungheria. Il 14 maggio 1944 affronta il viaggio per il campo di concentramento di Auschwitz. In seguito, insieme al padre, la madre e la sorella, viene messa ai lavori forzati. Purtroppo, perderà tutta la sua famiglia. Una volta fatto ritorno in Ungheria, si unisce al gruppo dei comunisti ungheresi, nella speranza di poter costruire un futuro migliore, grazie anche alla sua terribile esperienza.

La storia di Èva Fahidi

Ma la vera fortuna di Èva è sicuramente la sua passione per l’arte. Il grandissimo dolore che si è portata dentro per ben 45 anni, prima di riuscire a raccontare gli orrori che ha vissuto, lo esprime attraverso la scrittura, con i suoi romanzi, ma anche con la danza. Infatti, il 24 gennaio 2016, quando Èva Fahidi ha ben 90 anni, va in scena il suo spettacolo Sea Lavender or The Euphoria of Being. Presentato al Teatro Vigszinhaz di Budapest, riproposto fino alla Giornata della Memoria, il 27 gennaio.

Il suo spettacolo dunque parla proprio del trauma e della sofferenza, da cui è nato anche un documentario. La regista, l’ungherese Réka Szabó, è rimasta affascinata dall’incredibile storia di Èva. Ha deciso così di riprendere le vicende raccontate nel suo libro autobiografico in uno spettacolo teatrale. Ed è proprio la stessa Èva Fahidi e ballare sul palco, insieme alla giovane ballerina Emese Cuhorka.

Èva e Emese - PhotoCredit: © dw.com
Èva e Emese – PhotoCredit: © dw.com

La danza, per non dimenticare

Èva Fahidi e la sua forza straordinaria si fondono in questa performance coreografica che è, al tempo stesso, fragile e forte. Emese Cuhorka è andata a cercare personalmente Èva, chiedendole di ballare con lei. Nonostante abbia perso 49 familiari, sia rimasta completamente sola, affronta ancora la vita con una grande forza d’animo. La protagonista afferma infatti che dopo aver affrontato un dolore così grande, si può essere solo più forti per sopravvivere.

La drammatica storia di Èva ci insegna che la potenza della danza è una grande forma di terapia. Il dolore, la sofferenza di un trauma così grande, sono ferite che non si rimargineranno mai. Sebbene lei abbia finalmente accettato la sua storia, e il trauma che si porterà dentro per sempre, afferma che la danza è un grande mezzo per poter portare in scena, e agli occhi del pubblico, le emozioni. Soprattutto quelle negative.

Marianna Soru

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