Il mal dei sardi, quella peculiare forma di nostalgia per l’isola che attanaglia i suoi ospiti e visitatori, si avventò su Fabrizio de Andrè verso le fine degli anni 70, più di dieci anni prima dell’episodio del sequestro e la succesiva nascita di “Hotel Supramonte“.
Stanchi della vita e della frenesia del continente, nel 1968 il cantautore e la compagna Dori Ghezzi avevano infatti trascorso alcuni mesi a Portobella di Gallura, angolo nord occidentale dell’isola lontano anni luce dal paradiso per ricchi in cui era stata trasformata la parte orientale dell’isola attorno ad Olbia.
Fabrizio De Andrè e l’hotel Supramonte: i luoghi dell’anima
Un’acuta forma di saudade che troverà la sua soluzione sono nel 1976, quando la coppia deciderà di trasferirsi definitivamente in Sardegna. Scelsero un ampio appezzamento di terra – 151 acri – diviso in tre parti in piena Gallura, nei dintorni di Tempio Pausania. Qui un nuovo progetto di vita: investire buona parte di quanto guadagnato con le proprie produzioni artistiche in attività agricole e pastorali gestite in prima persona, in un ambiente che vedrà, nel 1977, la nascita della figlia Luvi.
Siamo la sera del 27 agosto 1979: l’arcaico silenzio di quella parte sospesa di mondo è improvvisamente interrotto da un nervoso scalpiccio che, dal piano terra, sembra diretto verso i piani superiori. Dori Ghezzi, allarmata, esce sul ballatoio: di fronte a lei una coppia di uomini incappucciati ed armati. Un terzo ha già incontrato Faber, e lo minaccia con un fucile. I due, prima in macchina e poi attraverso una marcia forzata a tappe lunga due giorni, vengono portati nel cuore dell’impenetrabile e labirintica zona montuosa tra Pattada e Oschiri, luogo deputato delle azioni della Anonima Sequestri sarda, che solo quell’anno colpirà una decina di volte. L’iniziale richiesta di riscatto si aggira intorno ai due miliardi di euro, ma nei quasi quattro mesi del sequestro le trattative la ridurranno a 550 milioni, più altri cinquanta milioni consegnati a liberazione avvenuta.
L’Hotel Supramonte: il sequestro
In un contesto di estremo disagio, spostamenti continui e cibo razionato, carcerieri e ostaggi svilupparono un rapporto che, in altri contesti, non si potrebbe che definire di estrema empatia reciproca. Manovalanza criminale da una parte, cantore degli ultimi dall’altra: presto si sviluppa una sorta di intesa sottocutanea che porterà la coppia, a bocce ormai ferme, a sostenere che il loro carcerieri non avessero nulla degli aguzzini e che, anzi, somigliassero più a delle figure materne. Con l’arrivo di novembre e della stagione fredda, i custodi di Faber e Dori li dotarono di una tenda e di un fornelletto a gas, in modo che la loro condizione non diventasse ancora più scomoda.
Dopo 117 giorni di trattative a singhiozzo, l’accordo e la liberazione: prima Dori e poi Faber verranno rilasciati il 20 e il 21 dicembre. Passano solo pochi giorni prima che i carabinieri inizino a smantellare la banda: prima il basista e nei mesi successivi altre nove persone vengono arrestate con l’accusa di essere gli artefici del sequestro. “Capiamo i banditi e le ragioni per cui si comportano in questo modo” dichiararono Faber e Dori, costituitisi parte civile nel processo contro i mandanti del sequestro nei cui confronti, al contrario degli esecutori e dei custodi, non manifestarono alcuna solidarietà umana. Anni dopo la coppia fece la richiesta di grazia per Salvatore Vargiu, condannato a 25 anni di reclusione per il suo ruolo di vivandiere nel sequestro.
Fabrizio De Andrè e l’hotel Supramonte: sardi e indiani
De Andrè si rimise subito al lavoro e nel 1981 pubblicò il suo decimo LP, “Fabrizio De Andrè”, universalmente conosciuto anche come “L’indiano”. Un album che ritrae in copertina l’indiano da cui deriva il nome dell’intero LP, tutto costruito sulla affinità e divergenze tra il popolo sardo e quello dei nativi d’America, entrambi vittime della colonizzazione e della sopraffazione del più forte. Primo brano del lato B, “Hotel Supramonte” è la riproposizione che Faber fa di “Hotel Miramonti” di Massimo Bubola, collaboratore di De Andrè per la quasi totalità dell’album.
In un pezzo essenziale, crudo, che lavora per sottrazione, la voce di Faber è accompagnata dalla delicata presenza di chitarra, basso e violino, riadattando il testo originale e seminandolo di riferimenti relativi alla dura esperienza del sequestro. In questo modo, l’hotel diventa il Supramonte, luogo di villeggiatura obbligato delle vittime dell’Anonima Sequestri. La località non corrisponde al luogo della detenzione della coppia ma era e rimane nell’immaginario popolare il luogo d’elezione per i crimini dell’Anonima sarda.
Andrea Avvenengo
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