Federico De Roberto, uno dei più grandi scrittori italiani, nasce a Napoli il 16 gennaio 1861 e muore a Catania il 26 luglio 1927, oggi avrebbe compiuto 162 anni. In vita ha goduto di scarsa considerazione dalla critica e dal pubblico. Solo dopo decenni dalla sua morte si è posta attenzione ai suoi meriti. Il suo capolavoro è il romanzo I Viceré pubblicato nel 1894, secondo della trilogia dei romanzi sui principi Uzeda. Anche se preponderante è la sua stata l’adesione ai canoni del Naturalismo e del Verismo, il suo percorso letterario è contrassegnato da una forte componente introspettiva. Vediamo come.
La vita di Federico De Roberto
Federico De Roberto nasce a Napoli, figlio di un ex ufficiale di stato maggiore del Regno delle Due Sicilie e di Marianna Asmundo, nobildonna di origini catanesi. A 9 anni si traferisce a Catania, dopo la morte del padre, travolto da un treno sui binari della stazione di Piacenza. Nel 1879 si scrive alla facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali dell’università di Catania. Studi che abbandona presto per perseguire i suoi interessi letterari e gli studi classici. Negli ambienti intellettuali si fa riconoscere come giornalista e critico lavorando sulle pagine di 2 riviste settimanali: il Don Chisciotte e il Fanfulla della domenica. Scrive soprattutto di letteratura e arte. Fonda per l’editore Giannotta la collana narrativa dei Semprevivi. Conosce Verga e Capuana, con i quali stringe una solida amicizia, che perdurerà nel tempo.
Nel 1883 scrive saggi sul Verismo e Naturalismo, su Flaubert, Zola, Capuana. Determinante per la sua formazione è stato l’incontro con Paul Bourget, scrittore e critico letterario francese, noto per i suoi studi di natura psicologica e romanzi in opposizione al naturalismo di Zola. Nelle sue opere Bourget analizza le coscienze umane. Nel 1888 Federico De Roberto va a Milano e Verga lo introduce nel gruppo degli Scapigliati. Lavora per il Corriere della Sera e il Giornale di Sicilia. A Milano Federico De Roberto progetta la trilogia dei romanzi sui Principi Uzeda. Nel 1897 ritorna a Catania, deluso per il mancato successo de I Vicerè si chiude in se stesso e resta a Catania fino alla sua morte per un attacco di flebite nel 1927.
La prima opera d’impronta verghiana di Federico De Roberto: La sorte
Nel 1887 realizza una raccolte di 8 novelle La sorte, che presenta una chiara impronta verghiana, ma con tratti personali significativi. In esse è evidente l’influsso del modello di Capuana e di Verga, in cui non manca l’ambientazione paesana e rusticana. L’attenzione di Federico De Roberto è rivolta soprattutto al mondo della nobiltà in declino e sulla dimensione dei nuovi borghesi che provano a mescolarsi con i nobili. La raccolta è recensita con entusiasmo dall’amico Capuana sul Fanfulla della Domenica di Roma per il suo stile conciso e distaccato.
Tuttavia nelle novelle già si scorge una predisposizione tipicamente derobertiana. Infatti, è possibile notare in questi scritti una sottile analisi interiore delle passioni umane, partendo da un livello più basilare e semplice per salire verso livelli più intricati e complicati. In alcune novelle De Roberto sembra anticipare il clima di disfacimento che è l’asse portante del suo capolavoro, I Vicerè, nel quale analizza l’azione corrosiva del tempo che si riversa su ogni cosa.
Opere d’impronta psicologica: Documenti umani e Ermanno Raeli
Federico De Roberto vira verso opere di analisi psicologica, più adatte alla sua personalità. Durante il periodo milanese scrive una raccolta di 14 novelle intitolata Documenti umani edita nel 1888, nelle quali traspare la fusione tra idealismo e realismo. La sua scelta scatena numerose discussioni, poiché in questo modo va contro i canoni naturalistici ancora predominanti. Nelle novelle analizza le classi aristocratiche, che appaiono eleganti e distinte, ma con uno sguardo più attento è possibile scoprire che sono dilaniate nel profondo da complessi psicologici. Le novelle dal sapore riflessivo e introspettivo nascono dalla necessità di De Roberto di scavare negli angoli recessi dell’animo umano, con lo scopo di osservarlo nella sua totalità.
A questa raccolta fa seguito nel 1889 il suo primo romanzo di analisi psicologica Ermanno Raeli. L’opera di carattere autobiografico narra la vita di Ermanno che, appassionato di poesia e filosofia, vive una storia d’amore travagliata, che si conclude con il suo suicidio. De Roberto analizza nel profondo l’animo del protagonista, dando al romanzo una veste intimistica. La critica accusa lo scrittore del recupero di anacronistiche tematiche tipicamente romantiche. Infatti, nel romanzo c’è un classico eroe idealista abbattuto dal contatto con la dura realtà, che porta via con sé ogni sogno e speranza di poter raggiungere la felicità.
Processi verbali: il ritorno al Verismo, breve parentesi
Il ritorno di Federico De Roberto alle tematiche classiche veriste trova espressione nella raccolta di 12 novelle del 1890 Processi verbali. Nella raccolta De Roberto si avvale dell’uso della tecnica, dal sapore tipicamente verghiano, dell’impersonalità che consiste dell’assoluto distacco dell’autore della materia narrata. Presenta una trascrizione oggettiva dei fatti, caratteristica tipica della materia documentaria. Le vicende e i personaggi nelle storie vengono presentati nella loro spoglia essenzialità.
In quest’opera, come nella raccolta La sorte, De Roberto appare come un convinto sostenitore del Naturalismo e Verismo. Applica e porta all’estreme conseguenze i tratti tipici di questa poetica. Le tecniche usate dallo scrittore sono diverse da quelle utilizzate da Verga. Infatti, nelle opere di De Roberto non è presente la regressione della voce narrante nella realtà descritta, ma ci sono il discorso indiretto libero e le didascalie descrittive. In questo modo lo scrittore di avvale dell’uso della tecnica teatrale che fonda la narrazione sul dialogo.
Il recupero definitivo dell’analisi psicologica: l’Illusione
L’albero della scienza, opera in cui De Roberto narra di storie d’amore in atmosfere visionarie analizzate nel profondo, sancisce l’abbandono definito del Verismo e il recupero della tematica psicologica. Nel 1891 pubblica il suo secondo romanzo, il primo della trilogia degli Uzeda, l‘Illusione. La storia è ambientata in un’epoca successiva alla conclusione de I Viceré, il suo capolavoro. Si concentra sulla figura di Teresa Uzeda Duffredi, che rimasta sola si lascia sedurre dal fascino della vita mondana con i suoi sfarzi e le sue ricchezze. Un mondo cinico che spreca la sua vita inseguendo vizi, adulteri e maldicenze.
La stessa Teresa finisce per accettare un matrimonio combinato, rinunciando all’unico uomo che ama veramente. Teresa vive una vita vuota e infelice tra i tradimenti del marito e le sue spese eccessive in cose futili. Perfino il ritrovato amore della gioventù si rivela essere una mera illusione, com’è stata tutta la sua vita. Punto centrale del romanzo è la passione amorosa, sviscerata attraverso un’analisi introspettiva e psicologica minuziosa. De Roberto giunge così alla conclusione che il travolgimento amoroso è l’esperienza umana illusoria per eccellenza.
Il grande capolavoro di Federico De Roberto: I viceré
Il capolavoro di Federico De Roberto, I Viceré, viene pubblicato nel 1894 a Milano. Il romanzo è il risultato di una lunga fatica creativa, in quanto l’obiettivo dello scrittore è raggiungere la perfezione. Pertanto De Roberto lo corregge e modifica innumerevoli volte con cura scrupolosa, analizzando le fonti documentarie per garantire veridicità al testo. Il libro narra la storia dell’antica e nobile famiglia siciliana: gli Uzeda, che discende dai viceré spagnoli della Sicilia. Lo scrittore passa in rassegna tutte le motivazioni che consumano e logorano la famiglia dall’interno come l’avidità, la pazzia, la sete di potere, le rivalità, gli odi e i vizi.
Ciascun membro si ostina nella difesa dei propri privilegi nobiliari e appaiono minati dal germe della follia, che trova espressione in comportamenti ambigui. La sete di potere spinge la nobiltà a commettere azioni deprecabili senza scrupoli, accettando, almeno in apparenza, i cambiamenti in atto in Italia negli anni ’50-’80 del 1800. L’opera I Viceré, infatti, appare in una fase di passaggio dal vecchio al nuovo, dal Realismo in crisi al nascente Decadentismo. Rispecchia il declino del vecchio sistema di valori e idee. Sono gli anni della caduta della dominazione dei Borboni e la nascita del nuovo stato unitario italiano. Gli Uzeda considerano i cambiamenti come circostanze superficiali, perché nulla cambia veramente.
L’opera si apre con la morte di Tereza Uzeda, donna dispotica e avida. All’apertura del testamento si scopre che ha nominato erede universale del patrimonio il primogenito dei 7 figli, ma di fatto ha favorito l’ultimo, suo prediletto. Da ciò scaturiscono scontri familiari e sullo sfondo si stagliano gli avvenimenti storici. La storia è la vera protagonista, senza la quale la trama non avrebbe spessore. Il susseguirsi di peripezie porta al graduale disfacimento dei 7 figli e alla scomparsa della stirpe degli Uzeda.
L’Imperio
L’ultimo della trilogia degli Uzeda, è un romanzo incompiuto, pubblicato postumo nel 1929. La storia narra le vicende dell’ambizioso Don Consalvo Uzeda, che eletto deputato si trasferisce a Roma da Catania. Nella nuova città si fa largo piano piano nella vita politica italiana, avvalendosi del suo nome delle sue ricchezze. Facendosi spazio nel fitto groviglio di intrighi e complotti orditi da uomini spregevoli, riesce a diventare ministro.
Insomma non possiamo collocare Federico De Roberto tra gli scrittori veristi, sarebbe riduttivo e fuorviante, in quanto il suo percorso letterario è il risultato di una commistione tra elementi veristi e un’attenta disamina psicologica. Entrambi gli elementi sono presenti con minore o maggiore evidenza in ogni sua opera.
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Articolo di Elisa Adamo