La fine dell’URSS: il fallimento del golpe

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Di Redazione Metropolitan

Era il 19 agosto 1991 quando ebbe inizio il fallimentare colpo di Stato che, indirettamente, portò alla fine dell’URSS. Voluto e pianificato già da tempo, il putsch portava la firma del KGB, che, servendosi di otto membri, irruppe nella dacia di Gorbaciov a Foros, ove quest’ultimo stava soggiornando in vacanza con la famiglia. Il rifiuto del presidente dell’URSS di sottostare alle richieste evidenzierà la debolezza del piano, non opportunamente progettato per affrontare eventuali ostacoli. Gli effetti del golpe, però, non si limiteranno all’esito negativo di esso stesso: i risvolti, parzialmente imprevedibili, decreteranno l’epilogo del regime sovietico.

Fine URSS: Contesto storico e dinamica

Gorbaciov era da tempo a lavoro per un’URSS differente, che fosse frutto di una riprogettazione in termini assoluti, avversa a quell’immobilismo sempre più dilagante e caratteristico. Alla vigilia della sottoscrizione di un trattato che avrebbe determinato passi importanti in tal senso, la residenza del Presidente venne totalmente isolata: i golpisti, assunto il controllo, chiesero la dichiarazione dello stato di emergenza e le dimissioni. Contemporaneamente, a Mosca, il primo ministro sovietico Valentin Pavlov, il capo del KGB Vladimir Krjuckov, il ministro dell’Interno Boris Pugo e il vicepresidente Gennadij Janaev confermavano in conferenza stampa le voci circa un possibile peggioramento delle condizioni di salute di Gorbaciov, con conseguente impossibilità di questo a ricoprire la carica. Intanto, il Presidente continuava a rifiutare le richieste reazionarie e riuscì, clandestinamente, a registrare un video di smentite, divenuto pubblico solo successivamente rispetto al fallimento del colpo stesso. L’opposizione della folla all’occupazione dei carri armati si aggiunse all’incapacità di ovviare ai molteplici imprevisti che continuavano a succedersi: ben presto si rivelò la natura effimera del golpe. I timori legati alle imminenti novità della politica gorbacioviana non diedero impulsi sufficienti per la realizzazione di un piano realmente efficace.

Conseguenze del fallimento

A trarre reale vantaggio dalla situazione fu Boris Eltsin, ai tempi presidente della Repubblica Russa. Eltsin era avversario del primo uomo sovietico, di cui criticava riforme e politica economica. Egli, nel trambusto generale di quei giorni, si recò a Mosca, presso il Parlamento, e in piazza, salendo su un carro armato, tenuto un discorso di condanna dell’accaduto, ottenne un intenso applauso da oltre 30mila persone lì riunite. Quando Gorbaciov, nella notte tra il 21 e il 22 agosto, ebbe modo di tornare la situazione era in evidente fase di cambiamento: una netta accelerazione della disgregazione dell’URSS stava prendendo piede e l’inversione di rotta appariva sempre più difficile. La dichiarazione d’indipendenza degli stati baltici, l’abolizione del Partito Comunista e la costante spinta di Eltsin per una Federazione russa indipendente sono solo alcuni dei passaggi emblematici che portarono alla fine del regime sovietico. L’8 dicembre del ’91 Russia, Ucraina e Bielorussia tennero una riunione segreta per la pianificazione della disgregazione; l’incontro fu seguito da un successivo, decisivo, in Kazakistan, il 26 dello stesso mese, con tutte le altre Repubbliche sovietiche. Fu proprio questo a sancire la fine dell’URSS, che ebbe, come ottavo e ultimo presidente, Michail Gorbaciov.

Valerio Antoniotti

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