Florence Jenkins: tra realtà e il mito del calabrone

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Di Redazione Metropolitan

Tutti abbiamo sentito almeno una volta il racconto del ‘mito del calabrone‘. Un animale che non potrebbe volare per la conformazione delle sue ali in relazione al peso del corpo, ma “non sapendolo vola lo stesso”. Una sublime parabola che iniziò attraverso queste parole; erroneamente attribuite ad Albert Einstein ma appartenenti ad un entomologo francese di nome Antoine Magnan del 1934 in un saggio chiamato Le Vol des lnsectes. La storia dell’unica diva della lirica divenuta celebre per le sue incapacità vocali tra ‘800 e ‘900, somiglia apparentemente a quella del famigerato calabrone.

È nata come Narcissa Florence Foster Jenkins. Un neologismo convertì al femminile un nome proprio, indice della persona innamorata di se stessa per antonomasia. Il 19 luglio 1868 veniva alla luce la meglio conosciuta Florence Jenkins, soprano più unico che raro. Crebbe a Wilkes-Barre in Pennsylvania da Charles Foster e Marie Jane Hoagland, interessandosi da subito alla musica e desiderando poi un proseguimento dei suoi studi all’estero. A seguito del rifiuto del padre, Florence decise quindi di scappare con il suo primo marito Frank Thornton Jenkins a Filadelfia. Qui per anni si mantenne come insegnante di pianoforte e musicista.

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Florence Jenkins, la musica oltre la cognizione del vero

Florence purtroppo contrasse la sifilide dal suo primo marito Frank e fu costretta ad abbandonare la carriera di pianista per i dolori alle articolazioni. Ma nel 1909 alla morte del padre, un’ingente somma di denaro in eredità le permise di cambiare la sua vita e di trasferirsi a New York. La Jenkins decise quindi di fondare e sostenere economicamente il Verdi Club; iniziando a studiare canto lirico ed esordendo addirittura in alcuni recital. Il suo repertorio di opera classica si articolava con i più grandi autori d’ogni tempo come Mozart, Verdi, Strauss e Brahms. Specialmente prediligeva poi i “Clavelitos” di Joaquin Valverde.

L’incontro fondamentale con St. Clair Bayfield

Purtroppo però emerse sin dalle prime registrazioni la sua totale mancanza di talento canoro. I musicisti che la accompagnavano dovevano spesso barcamenarsi in modifiche improvvisate per sopperire alle sue lacune di ritmo ed intonazione. Ma nonostante tutto ciò Florence ebbe la fortuna di incontrare due figure che divennero fondamentali per la sua carriera e la sua vita. Il pianista Cosmé McMoon, suo collaboratore fedele e soprattutto l’attore teatrale inglese St. Clair Bayfield che ne divenne il marito e che fu il vero artefice del ‘fenomeno Florence Jenkins‘. Bayfield fu centrale sia per l’organizzazione degli spettacoli, la sponsorizzazione, ma soprattutto per il suo incondizionato – ed interessato – assecondare la moglie negli intenti musicali. Contribuendo quindi ad alimentarne l’illusione.

Un caso sublime di allucinazione e comicità

Attraverso quello che stava diventando un caso sublime di allucinazione collettiva e comicità, la fama di Florence iniziò a crescere esponenzialmente. Si esibiva con vestiti elaborati ed istrionici che lei stessa disegnava con ali e paillettes, adorna di fiori che spesso gettava alla folla mandando baci. Dal pubblico di frequente si innalzavano risa sarcastiche, alle volte più mansuete altre volte di vero e proprio scherno. Ma Florence era convinta delle sue doti, in uno speciale miscuglio tra candore e stupidità; arrivando a paragonarsi a Soprano eccezionali come Luisa Tetrazzini. Per la Jenkins qualsiasi forma di ironia nei suoi confronti era semplicemente dovuta ad invidia, ma di fatto ogni evento che la riguardava destava enorme curiosità.

La sua tecnica era applicata totalmente a caso; tanto da decidere di dover cantare ad una tonalità più alta in seguito ad un urlo che un viaggio in taxi le fece emettere. Regalando una scatola di sigari al tassista. Teatri gremiti, spettacoli attesissimi, ma Florence continuava a limitare le sue esibizioni a pochi luoghi fidati ( la sala da ballo del Ritz a New York). Iniziò ad esserci persino una cura personale alla selezione degli inviti dei partecipanti, ma la città intera pressava fortemente per vederla sul palco più importante. Il 25 ottobre 1944, la settantaseienne Florence Jenkins andò in scena al Carniege Hall per un spettacolo-evento rimasto celebre e con biglietti andati letteralmente a ruba.

Daily Mail Florence Film

La scomparsa, il film ed il mito del calabrone come credenza popolare

Dopo solo un mese da questa leggendaria esibizione, Narcissa Florence Foster Jenkins morì per un infarto il 26 novembre 1944; dopo quasi 50 anni di ‘convivenza’ con la sifilide. Lasciando un laconico punto interrogativo sul senso della sua carriera: era tutto uno scherzo per il pubblico? scomparve scoprendo che si rise di lei?. Nulla è certo, ma sicuramente la sua esistenza produsse un enorme immaginario collettivo, tanto che sulle sue vicende sono stati realizzati ben due film; Marguerite del 2015 ed il più noto Florence del 2016 diretto da Stephen Frears con protagonisti Meryl Streep e Hugh Grant.

Senza ombra di dubbio, se la cantante fosse stata sprovvista della sua agiata posizione sociale ed economica e senza il supporto di suo marito St. Clair Bayfield, nulla sarebbe accaduto. Ma come per il mito del calabrone, le cui possibilità di volo sono state spiegate dalla scienza con la frequenza del battito delle sue ali. 230 al secondo, generando portanza e rispettando i principi dell’aerodinamica; anche per Florence questa riflessione sopraggiunge. Perchè le smentite della realtà appaiono alle volte più deboli dei miti che persistono. Permettendo ad una storia che avrebbe avuto tutte le circostanze per non avvenire, di accadere e di essere tramandata. Ciò induce quindi un quesito su tutti. Quale fascinazione unisce la persuasione del superamento d’ogni limite e l’illusione di poter fare tutto, con il bisogno bulimico della verità priva di ogni retorica?.

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