Franco Califano, la poetica della libertà come accoglimento attivo della solitudine

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Di Stella Grillo

Per comprendere l’essenza poetica di Franco Califano occorre tenere a mente l’importanza che il Maestro dava a uno status, quello della Solitudine. La filosofia del Califfo fra la concezione di libertà intesa come solitudine difesa, nonostante tutto, il mito della giovinezza, l’amicizia e Roma.

Franco Califano, la poetica nella concezione della libertà e nell’eterno mito della giovinezza

Franco Califano Poetica
Credits: Radiocittàaperta

Quando si parla di Franco Califano e della sua poetica si fa spesso riferimento a lui come una figura sprigionante una sontuosa aura maledetta; Il Califfo genio e sregolatezza, Califano degli eccessi, il playboy, i presunti legami con Raffaele Cutolo e Francis Turatello, il carcere. Ma Franco Califano non era solo il latin lover delle copertine che vestiva elegante, amava la notte e conduceva un’esistenza dissoluta; la poetica del Califfo attinge tutta la sua essenza proprio dalla vita vera, dalla periferia e dalla concretezza di un mondo vissuto in prima persona nelle sue esperienze. Quello che Franco Califano racconta nella sua lunga eredità musicale è una malinconia invisibile:

“Zitta nun parlà, nun me rovinà st’attimo de malinconia“.

Una dolce tristezza che bubbola, in sottofondo, nonostante le giornate colme di adrenalina e le notti brave e licenziose che, spesso e volentieri, sono state attribuite alla sua figura, simbolo ed emblema dell’eccesso.

Roma, la Capitale cantata nella sue consuetudini

A far da sfondo in ogni sua canzone c’è Roma; non una Capitale in cui l’autore ne descrive la magnificenza, ma una città scrigno di grandi esperienze emotive. Roma che è stata compagna, amica, madre che non ha mai lasciato solo un figlio; un figlio che ha sempre cercato di raccontarla in tutta la sua essenza, quella non considerata dalla maggior parte delle persone. Una Roma celata a chi non vede la sua linfa nelle periferie, nelle borgate, nei piccoli spazi consumati dal tempo in cui, in realtà, pullula la vita vera. “Semo gente de borgata” è l’emblema di questa concezione: un inno alla povera gente, a chi fa fatica a sopravvivere ma che tuttavia non demorde e non rinuncia a cercare uno spazio nel proprio ciclo dell’esistenza, nonostante le brutture che spesso la vita riserva.

Franco Califano e la filosofia della libertà nella poetica del Califfo

C’è un aforisma che ben esplica la poetica di Franco Califano e che ha accompagnato il Maestro, poeta di Roma, per tutta la vita:

“La libertà più totale è uguale alla solitudine più bella”.

Secondo Califano esiste solo un modo per essere totalmente liberi: stare soli. Un prezzo sicuramente da pagare ma che rimanda alla purezza dell’esser liberi e senza vincoli; una libertà che non è parvenza, non è un favore subliminale della società, ma è autentica. La solitudine di cui parla il Maestro deve essere ricercata e difesa, perché la concezione di libertà del Califfo è quella che richiede sfrontatezza, tenacia, impavidità. Hermann Hesse, noto scrittore tedesco, scrive nel suo romanzo Il lupo nella steppa:

”La solitudine è indipendenza: l’avevo desiderata e me l’ero conquistata in tanti anni. Era fredda, questo sì, ma era anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri.”

Un parallelismo concordante con la filosofia del Califfo; la solitudine è sovranità del proprio Io che, nonostante la freddezza della condizione, regala un’ autonomia pura e scevra dall’imposizione dei valori che le relazioni, nel bene o nel male, impongono. La libertà auspicata da Franco Califano è la profonda certezza del proprio valore e della propria vita, senza donarla a una donna che, chissà, prima o poi ottenebrerà la luce dell’amore donato con un possibile atto di infedeltà. Non c’è bisogno di legare la propria vita a qualcuno per avere delle sicurezze. Nel testo La mia libertà il Maestro scrive:

Se non amo grido abbasso anche se non mi è concesso
dico sempre quello che mi va.
Se voglio un corpo e un po’ d’affetto,
faccio un giro cerco un letto e una donna che ci sta.
Chi mi vuole prigioniero non lo sa che non c’è muro
che mi stacchi dalla libertà.
Libertà che ho nelle vene, libertà che mi appartiene,
libertà che è libertà.
Vivo la vita così alla giornata con quello che da’
sono un’ artista e allora mi basta la mia libertà.


Questi versi sono l’emblema del manifesto poetico di Franco Califano; un uomo libero da ogni vincolo, che vive alla giornata ed è fiero della sua esistenza nonostante le pressioni della società che vorrebbero, tutti, incasellati in una statica etichetta. La chitarra e la voce sono l’unico legame possibile, per il Maestro; un messaggio potente e, al contempo, intriso di malinconia struggente.

Il concetto di libertà in un parallelismo con un altro grande cantautore romano: Claudio Baglioni

Un altro cantautore romano, che ha cantato la Capitale in modo più romantico e delicato, ha riflettuto sull’importanza di percepirsi ed essere un uomo libero. Claudio Baglioni, nelle tre strofe che compongono i ritornelli del brano Mia libertà, canta:

Mia libertà
mi sento proprio un traditore
che brutto guaio che è l’amore
mia libertà…

Mia libertà
le prime corna per amore
io te le ho messe a malincuore
mia libertà…

Mia libertà
chissà se è stato un grosso errore
buttarmi a pesce nell’amore
mia libertà..

Nei versi contenuti nel brano Mia libertà il cantautore cede all’amore tradendo la sua indipendenza; sacrifica la sua solitudine, criterio primario per essere davvero liberi, compromettendo la sua libertà per legarla a una relazione. L’ultima strofa del ritornello fa trapelare un quesito, un dubbio: sarà stato uno sbaglio buttarsi a capofitto nell’amore, tradendo la propria essenza primordiale di uomo libero? Una visione, quest’ultima, ben esplicata nella poetica di Franco Califano che esalta l’esser soli come condizione necessaria per esser liberi.

Franco Califano e il mito della giovinezza, l’amore e ancora Roma: una poetica intrisa di sottile malinconia

La malinconia percepita nei testi del Califfo è sottile ma struggente; c’è sempre Roma come compagna e amica delle notti dissolute del Maestro, spesso visto come un latin-lover. C’è anche il mito della giovinezza sfumata; quegli amici, di borgata e non, che presto o tardi si inchinano alle regole tacite della società, e a lui non resta che una flebile nostalgia del tempo che è stato:

L’ urtimo amico va via,
domani se va a sposà,
se gioca la libertà pure lui.
Er vecchio gruppo ‘ndò stà,
me li so’ persi così
se sè scordati de me,
Tanto amici e poi… tiè!
Ogni cosa se ne và,
finisce er ciclo de ‘l’età

[…] Te saluto gioventù,
te ne sei annata pure tu.
Adesso a me che me rimane più.
L’urtimo amico va via
e ‘nzieme a lui l’allegria.

Nel testo de L’urtimo amico va via il Maestro descrive lo svanire della giovinezza e la perdita della amicizie; il vecchio gruppo di amici che era solito sostare insieme, piano piano, si è perso per sopperire alle richieste di una società che si aspetta certe azioni dagli adulti. Una tristezza percepita, concreta, che traspare nella riflessione di Califano; il Maestro si rivolge agli amici che, presi dalle cose del mondo, si sono dimenticati di lui. Ma, tuttavia, ogni cosa finisce; e con lo sposalizio dell’ultimo amico rimasto, anche il cantautore deve salutare la gioventù e l’allegria.

Oltre all’amicizia e alla malinconia dello sfuggire della giovinezza, anche l’amore è un sentimento cantato dal Califfo e non solo come deterrente della solitudine e della più alta forma di libertà. Spesso, Califano, è visto come genio maledetto, amante tormentato; l’amore è quasi un cliché, un sentimento che prima o poi porterà al tedio, come esprime in Tutto il resto è noia, oltre che un ostacolo ai veri valori dell’essere indipendente. Ma esistono, tuttavia, anche dei testi in cui il Maestro appare diverso dall’immaginario comune. E’ il caso di Roma e Settembre:

Chi se li scorda più quei lacrimoni
che hai pianto ieri quanno sei partita
ar core mio te c’eri avvicinata
Er tempo ha rovinato proprio tutto
s’è messo a piove sopra sta partenza
la stessa eredità d’ogni vacanza..
Roma e Settembre so’ la stessa cosa
diventano le mie malinconie
Settembre vor di’ autunno e Roma casa
e in mano nun c’ho più le trecce tue..

Una poetica eclettica, seppur spesso incasellata nella sregolatezza dalle sfumature bohémien che cela, una visione lucida e realistica che ben fotografa i timori, i valori e i sentimenti dell’ Io collettivo più profondo.

Stella Grillo

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