Fritz Lang, il grande maestro del cinema tedesco

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Di Redazione Metropolitan

Fritz Lang è un regista austriaco, fra i più grandi maestri del cinema tedesco. Attivo dagli anni ’10 all’inizio degli anni ’60, passando dal muto al sonoro, è stato un esponente dell’espressionismo tedesco, e in seguito è passato al modernismo ispirato al cinema USA e alla dottrina di Joyce. Con il suo film più famoso, “Metropolis”, ha creato il modello per quello che sarebbe poi stata la struttura del film fantascientifico in seguito. Molti, infatti, i film di fantascienza che si sono ispirati a “Metropolis”, soprattutto visivamente, tra i quali ricordiamo “Star Wars” e “Blade Runner”.

Grande personalità, Fritz Lang è subito consapevole del ruolo creativo del regista, che in precedenza era visto solo come un coordinatore, che doveva avere caratteristiche più organizzative che creative. Per Lang, invece, il regista di cinema è molto di più. Fritz riconosce subito il potere di questa arte, che secondo lui è l’unica che può essere davvero compresa da tutti, perché racconta la realtà e per comprenderla basta semplicemente avere gli occhi. Guardarci intorno, ciò che facciamo ogni giorno.

Fritz Lang sul set del film di Godard - Photo Credits: Vague Visages
Fritz Lang sul set del film di Godard – Photo Credits: Vague Visages

La carriera di Fritz Lang: da espressionismo a modernismo

Per Lang fare film è “la vita”, come ha dichiarato lui stesso. E così sarà. Fritz Lang ha la possibilità di arricchirsi molto culturalmente nella sua carriera, in quanto dopo l’avvento di Hitler in Germania deciderà di spostarsi in Francia. Ma non finisce qui, dopo la Francia andrà negli USA, per poi tornare in Europa. Tutto ciò lo fa allontanare dall’iniziale inclinazione verso l’espressionismo tedesco. Negli USA in particolare, infatti, si mette alla prova girando un western, una trilogia sociale, per poi darsi al genere noir. Godard, suo ammiratore, ha confessato di essersi ispirato molto a Fritz Lang, “simbolo stesso del cinema” come lo ha definito lui, e lo ha voluto come attore nel suo film “Il disprezzo”.

Il regista austriaco è passato dunque dall’espressionismo tedesco al modernismo. Era inevitabile che crescendo artisticamente in quella che era l’epoca dell’espressionismo, ne prendesse qualcosa. Già nei suoi film dell’epoca espressionista, tuttavia, era evidente il suo stile. Dall’interesse per la composizione alla costruzione di macchine perfette nella sua messa in scena, sempre con lo stesso obiettivo: mostrare e raccontare. E non sempre nello stesso momento. Nei suoi film la storia, difatti, era spesso parallela ad inquadrature dal grande valore simbolico, che però non aggiungevano niente al procedere degli eventi.

Il trailer di “Metropolis”

Metropolis, chi si cela dietro al successo di Lang

Nonostante la sua ricca filmografia, il film per cui tutti lo ricordano è il film muto “Metropolis”. Girato nel ’27, si tratta di una di quelle pellicole che chiunque ha visto almeno una volta nella vita. Fritz Lang introduce il primo robot della storia del cinema, Maria, e crea una storia distopica, tipo di storia che tanto appassionerà i registi di fantascienza qualche decennio dopo. Questo perché l’uomo ha sempre avuto il desiderio di guardare al futuro e immaginare come sarà. Per il suo film Lang crea impressioni visive all’avanguardia con una macchina complessa da lui costruita che rappresenta una città multi-livello, dove in alto i ricchi industriali governano dai loro grattacieli, e nel sottosuolo gli operai lavorano.

Sebbene Fritz Lang si sia sempre preso tutto il merito di questa opera, in verità gran parte di questo dovrebbe andare alla moglie, Thea von Harbou. La von Harbou, infatti, ha scritto il soggetto, la sceneggiatura, e il romanzo di “Metropolis”, arrivando addirittura a selezionare gli attori per il film. Un merito, dunque, da dividere a metà tra la moglie, che ha saputo guardare in avanti e immaginare cosa sarebbe diventata la società del tempo, e il marito, che con la sua visione unica ha saputo dare vita a questa città del futuro. E non solo.

Paola Maria D’Agnone

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