Gabriel Garcia Marquez: la foce del disamore

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Di Redazione Metropolitan

Comincia oggi il nuovo ciclo di appuntamenti con la rubrica teatrale “Metro Teatro”, questa volta protesa a soffermarsi su cinque fra le storie d’amore più eloquenti e trasversali nel mondo del teatro. Per iniziare, la retrospettiva su un’opera poco conosciuta del celebre Gabriel Garcia Marquez che diede vita nel 1987 ad un unico testo teatrale sotto forma di monologo: “Diatriba d’amore contro un uomo seduto”.

Dalle cavità insondabili del buio, laddove il quotidiano sembrava farsi melma, s’innalza il gutturale lamento.

L’atarassia non è più culla, vacilla il nastro della ridondanza.

Schianto senza provenienza. Schianto accorato, materico.

La foce è una gola di donna.

Foce di un recere chiassoso e tragico. Trita foce.

http://www.mariarosariaomaggio.it/diatriba-damore-2007/ (PHOTO CREDITS: ANSA.IT)

Dapprima, il fracasso, frastuono di stoviglie.

S’arrende all’aprirsi del sipario, velluto occultatore di magici realismi.

Gabriel Garcia Marquez.

L’illustre romanziere favoleggia il disamore; l’esanime, angusto tintinnio dell’esistenza.

Graciela, femmineo fervore.

Assistiamo attoniti all’impetuoso incedere, al dinamismo brutale della sofferenza.

Madido lamento, pericoloso ardore.

La parola si fa lama, strangola furente una pièce fino ad allora immobile.

Immobile la stanza, la poltrona, la polvere.

Immobili i nostri sguardi, ormai vitrei cristalli sulla scena.

http://www.fotovideolab.eu/spettacoli/diatriba_d%27amore/DSC_5002.htm (PHOTO CREDITS: ANSA.IT)

Declama, Irrompe, Distilla terrose parole.

Il lamento si fa tenaglia, diretta al manichino immobile, all’uomo placido e distratto, al marito assorto.

Da dietro la poltrona se ne intravede la seduta sagoma. Nessun riscontro, nessun mutamento.

Il grido si schianta. Continua ad infliggere.

Saette e dolore.

“Diatriba d’amore contro un uomo seduto”; impossibile non rimanere impantanati nell’opera inedita che, affermandosi come unico testo teatrale dell’autore colombiano fu messa in scena per la prima volta in Argentina nel 1987.

Pochi cambiamenti di luce; una prosa fluviale, verace.

Un monologo di donna, detonatore rovinoso d’un bisogno d’amore.

https://www.youtube.com/watch?v=kvdwR3YS5uI (PHOTO CREDITS: ANSA.COM)

Ponendo lo sguardo nel limbo sterrato d’un incomprensione primordiale, l’autore permette l’acuirsi del lancinante.

Esacerbato è il torrente di vocali, il guizzo ironico, il timbro.

Ne avvertiamo l’urgenza come pulviscolo sulle nostre spalle.

La sedia si fa scomoda; improvviso l’impulso d’alzarci, di urlare verso il palco.

 Esigiamo risposte al fraintendimento in atto.

Atto unico, eloquenza magmatica e truce.

Deprimente ogni tramonto, ci prepara al cupo avvento della notte.

Nulla più rimane d’inarticolato.

Intorpidite le membra, pesanti i nostri arti.

E’ proprio vero, invecchiamo all’alba.

Giorgia Leuratti