George Andrew Romero nasce il 4 febbraio del 1940 nel Bronx, da madre lituana e padre spagnolo. Prima del tracollo socio-economico inaugurato in tutta l’area dalla costruzione della Cross Bronx Expressway a partire dal 1948, il Bronx è un borough in gran parte popolato da rappresentanti della classe media e della piccola borghesia cittadina.
Una condizione di relativa stabilità economica che permette a George di studiare e di dedicarsi a quelle che sono sin da subito le sue grandi passioni: i fumetti e il cinema. Con frequenti toccate e fuga via metrò in quel di Manhattan, sin dalla giovanissima età George noleggia bobine di pellicole per la riproduzione casalinga, iniziando così uno studio diretto della materia.
George A. Romero: la formazione
Leggenda vuole che, alla pari di un solo altro newyorchese chiamato Martin Scorsese, sia stato l’unico a noleggiare ripetutamente la bobina del film “The tals of Hoffmann”, adattamento per il grande schermo dell’omonima opera romantica del 1880 del compositore Jacques Offenbach. Produce anche i primi cortometraggi amatoriali su Super 8: George ha ben chiaro cosa vuole fare. Nel 1960, appena laureatosi al Carnegie Institute of Technology, si avvicina al mondo della televisione e partecipa alla produzioni di alcuni video pubblicitari e brevi segmenti dello show per bambini “Mister Roger’s Neigborhood”.
Ma i suoi progetti sono ben altri. Ci vogliono otto anni, ma nel 1968 riesce a raccogliere abbastanza soldi e collaboratori per fondare la Image Ten Production con, tra gli altri, lo sceneggiatore e amico di lunga data John A. Russo. E’ finalmente arrivato il momento di mettere su celluloide la propria idea. Il budget è ridicolo, ma la visione potentissima e l’horror un genere che garantisce un ritorno (quasi) certo: sette persone in una zona rurale della Pennsylvania assediati all’interno di un casolare da un esercito di ghouls, o meglio, divoratori di carne umana.
George A. Romero: “La notte dei morti viventi”
Ispirati dal movente narrativo del celebre romanzo “Io sono leggenda” di Richard Matheson del 1954, Romero e il co-sceneggiatore John Russo riadattano il plot iniziale di derivazione più fantascientifica immaginando un’ideale prequel dei fatti narrati nel romanzo. Niente vampiri, ma ghouls, individui morti da poco e trasformatosi in “altro” perché un make-up più intensivo sarebbe costato troppo e in “morti viventi” perche “flesh eaters” è già stato usato in un’altra pellicola. La Motion Pictures Association of America esisterà solo da lì a poco e nelle primissime fasi “The night of the living dead” attira orde di ragazzini, attratti come mosche da qualcosa che si promette decisamente più estremo del classico film Hammer.
La febbre dilaga presto e con essa gli attacchi e le celebrazioni, le interpretazioni e gli incassi: l’anno dopo “The night of the living dead” ha incassato più di trenta milioni di dollari e decretato un nuovo standard narrativo per l’horror, che entra ufficialmente nell’era moderna. Tre anni dopo Romero volta completamente pagina, ma la commedia “There’s always vanilla” è fiacca e il flop totale. Lui stesso la definirà “un immane caos”. Torna così a maneggiare la materia horror con “Jack’s wife/Season of the witch” (1972) – definito “il mio film più femminista” – e il discreto “The Crazies” del 1973, dove ritorna alla tematica cara dell’apocalisse in corso, questa volta declinata nei termini di una follia omicidia collettiva.
La futura quadrilogia prende forma
E’ però il 1978 l’anno in cui rialza davvero l’asticella qualitativa delle sue produzioni. Prima con il vampiresco “Martyn”, poi con il secondo capitolo di quella che sarà conosciuta come la “quadrilogia degli zombie”: “L’alba dei morti viventi”. Sono passati dieci anni da “La notte dei morti viventi” e il rischio di venire associato esclusivamente a quella specifica narrazione è scampato. Ora, con più soldi e credibilità a disposizione, può alzare il tiro. L’epidemia ha travolto gli interi USA e con i suoi zombie Romero allarga alla grande la propria idea. A Philadelphia un gruppo di sopravvissuti trova rifugio all’interno di un centro commerciale. Un crescendo di violenza parossistica che permette a Romero e al fido Russo di costruire un’enorme e scioccante allegoria della società dei consumi. Lo shopping mall diventa allo stesso tempo luogo salvifico per i sopravvissuti, dove di fatto ricreano le modalità esistenziali pre-epidemia, e irresistibile magnete per gli zombie.
Pellicola manifesto del Romero-pensiero quello che in Italia verrà chiamato, non senza confusione, “Zombi”, sarà un successo planetario. Tanto che Romero l’anno dopo ne svilupperà immediatamente il terzo capitolo. “L’alba degli zombie” è il definitivo tracollo dell’umanità che gli dà occasione per sviluppare una riflessione su scienza, apparati militari e condizione umana. Più sociologica che politica, la nuova declinazione via sangue ed interiora ottiene ottimi responsi, soprattutto al di fuori degli USA. Per Romero il vento ormai soffia dalla parte giusta e le produzioni si susseguono. Tra il secondo e il terzo capitolo della sua saga-zombie dirige “Knightrider”, una curiosa rivisitazione medievalistica del tema bikers, e la celebre antologia “Creepshow” con la collaborazione di Stephen King. Dal 1983 al 1988 curerà un’altra antologia,”Tales from the Darkside” (1988) e l’horror psicologico “Money Shines”(1988).
Gli anni 90
Gli anni 90 si aprono con quello che sarà solo il primo episodio di una serie di tributi che la scena horror gli dedicherà e che tradisce le prime avvisaglie di una crisi sistemica di creatività. Il mago degli effetti speciali Tom Savini cura il remake de “La notte dei morti viventi”. Assieme ad adattamenti da E. A. Poe (“Due occhi diabolici” 1990) e collaborazioni con Dario Argento (“The dark half” 1993, da un racconto di Stephen King) Romero allarga i propri orizzonti tornando agli inizi e gira degli spot pubblicitari per il videogame “Resident evil 2”. la Capcom gli proporrà di dirigere il primo film tratto dal videogame, ma lui rifiuterà “stufo di avere a che fare con gli zombie”.
Torna alla regia nel 2000 con l’horror-thriller “Bruiser”, ma il richiamo degli zombie è più forte di tutto. “Land of the dead” nel 2005 rappresenta un ritorno alla saga in grande stile. Una sanguinosa metafora dei rapporti di classe che convince pubblico e critica. La quadrilogia è completa. Ma tra collaborazione con Marvel e DC, miniserie e quant’altro Romero prova ad aggiornare la sua narrazione alla moderna grammatica filmica.
Le ultime produzioni
L’indipendente “Diary of the dead” sfrutta l’ormai vecchia idea del found footage ma i risultati non sono all’altezza delle aspettative. Per la prima volta Romero sembra guardare alla propria saga come un porto sicuro più che come uno strumento narrativo di contenuti. Stessa o addirittura peggior sorte per il suo successore e ultima pellicola del regista, “Survival of the dead” del 2009. Celebrato modello di riferimento e di innovazione nella filmografia horror mondiale, George Romero muore nel 2017 all’età di 77 anni.
Andrea Avvenengo
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