Gigi Proietti: il cavaliere nero, maschio senza rischio

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Di Federica De Candia

“Che ve devo dì, la data è quella”. Avvertiva così quando doveva pronunciare la data del compleanno: il 2 novembre, il giorno dei morti, senza scampo. Gigi Proietti trovava per tutto una mandrakata: quella alternativa ingegnosa con cui si risolve una situazione difficile. Un neologismo coniato dal suo personaggio in “Febbre da cavallo“. Se Bruno Fioretti avesse saputo che dal suo intercalare romanesco, ne nasceva una invenzione simile e famosa, altro che onore! Avrebbe trasformato tutto in una scommessa ippica: in una parola ‘se la sarebbe giocata’. Con lui, “Er Pomata” soprannome di Armando Pellicci, e Felice Roversi, guardamacchine abusivo. E Steno a guardarli divertito. 

Non tutti sanno che il Mandrake di Proietti, che si guadagnava da vivere facendo “Bruno l’indossatore”, e recitando in alcune pubblicità, nasce dal mondo dei fumetti: era il nome del mago creato da Lee Falk divenuto celebre negli Stati Uniti negli anni Trenta, e artivato fino a noi. “Non sono mica Mandrake”, si usava dire nel gergo italiano. Ma fu solo con Gigi che questo personaggio divenne orgogliosamente romano. Osteria “Dar Memarolo”, Toto, il cavaliere nero invincibile nella barzelletta; non solo l’effige dell’arma del Maresciallo Rocca, ma sul petto, fiera, brilla ‘senza macchia’, una medaglia all’ironia.  

Gigi Proietti, quella sera a teatro

"Gigi Proietti in Edmund Kean" oggi in seconda serata su RaiUno - Photo Credits Immagine Rai

Era il 1970 quando le tavole di legno del suo amato teatro, gli offrono una straordinaria possibilità. Nel musical “Alleluja, brava gente“, di Garinei e Giovannini, sostituisce Domenico Modugno, e recita accanto a Renato Rascel e Mariangela Melato. “Ero venuto per fare le prove, sicuro che Modugno tornasse da un momento all’altro, per farmi un’ esperienza. Ma debuttare… Temevo quasi di declassarmi, avevo, diciamolo, un po’ di puzza al naso. E se dopo, mi chiedevo, non mi fanno più fare l’Amleto? Per fortuna mia accettai di debuttare…“.

La sua voce, plateale, da degno erede di Petrolini, prestata alla prosa e poi ancora al comico; doppiatore del Gatto Silvestro, di Marlon Brando, in scena per recitare Aristofane o per le sue barzellette. Ma sempre con la stessa intonazione ‘de core‘. Per mantenersi agli studi si esibiva nei night club, capace di suonare vari strumenti e di cantare. Il simbolo del film “Tosca“, diretto da Luigi Magni nel 1973, è la canzone scritta dallo stesso regista con la musica di Armando Trovajoli, “Nun je da’ retta Roma“. Nel film Proietti interpreta Mario Cavaradossi, confinato nel 1800 a Castel Sant’Angelo per aver dato rifugio al patriota evaso Cesare Angelotti. E che si suiciderà per non cadere nelle mani della polizia pontificia, che però lo impiccherà ugualmente da morto per dimostrare il suo potere e terrorizzare il popolo. I versi taglienti e le note dolenti, raccontano molto. E Gigi fa sua questa canzone.

Gigi, nun me rompe il carisma

“T’ho incontrata – Mo non me aricordo quanno – Me dicevi che parevo un Marlon Brando”. Rime baciate per uno stornello che sa di serenata, di cuore strappato dal petto, e di qualche accidente di troppo rimasto in bocca. Canzone che nel suo titolo, un po’ felino, “Me so’ magnato er fegato“, anticipa tutta la melanconia del testo. La voce era certamente di Gigi, ma le parole, inaspettatamente, di un giovane Claudio Baglioni.

Magari essere stati amici di Toto, quello della ‘sauuuna’; a lui che si consigliava sempre, preziosamente, “Ma lassa perde, ma chi to fa fà, basta”. Ma la lezione arriva da Mandrake: che al ventiduesimo ciak del carosello, sbagliando continuamente la frase slogan “il whisky maschio senza rischio”, dice simpaticamente: “Il regista ha sempre rovinato l’attore“. Meglio che rimanga sempre lui, con i suoi cavalli di battaglia, ‘Soldatino, King e d’Artagnan‘ il tris vincente in tasca; un cavaliere nero, maschio ma col fischio, che possa dire vantandosi ‘a me gli occhi please’.

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