Gigliola Bejaj è una giovane studentessa che ha deciso di raccontare quello che ha vissuto una notte di dieci anni fa, quando a soli 16 anni è stata vittima di uno stupro. Con il volto illuminato su uno sfondo nero, ha spiegato che cos’è la violenza sessuale, per poi lanciare un messaggio di solidarietà ad altre vittime come lei: “Lo stupro non è la fine”.
Gigliola Bejaj ha raccontato la violenza sessuale in un video su YouTube per il canale Bergamo Pride. Aveva 16 anni quando è successo. Era a Tirana (Albania) con la sua famiglia. Una sera, ad una festa di compleanno, ha conosciuto il migliore amico di sua cugina che l’ha convinta a seguirlo in un appartamento situato in un quartiere a lei sconosciuto. Dopo aver fatto sesso con lui, è stata stuprata due volte da un altro ragazzo e, se non avesse trovato la forza di scappare, anche un terzo uomo avrebbe approfittato di lei. “Gli dicevo ‘ma non hai una mamma? Non hai una sorella? Non vorresti che se si trovassero in una situazione così, qualcuno avesse pietà di loro?’ Ma a lui non gliene fregava nulla. Al mio stupratore non gliene fregava un cazzo. Lui era spietato, non aveva emozioni verso di me, non aveva empatia”
Gigliola non ha omesso alcun dettaglio nel riportare l’accaduto. Terrore, rabbia, ribrezzo non ha censurato emozioni o sensazioni. Ha raccontato limpidamente l’inferno che ha vissuto quella notte.
“Ricordo il mio corpo steso nudo per terra senza nessuna emozione, non sentivo più niente. Durante lo stupro sono andata da un’altra parte e il mio corpo è rimasto lì. Ero un corpo vuoto e senza anima ad uso e consumo dell’uomo che in quel momento aveva diritto di vita e di morte su di me. Ho cominciato a tremare per l’adrenalina in cui sguazzava il mio sangue. Vorrei farvi provare quel tremore per un minuto e capireste tutto: non ho mai tremato così tanto in vita mia”.
Il racconto è diretto, schietto, rude perché in questo video non c’è censura o politically correct. Non ci sono filtri. C’è solo la crudezza di un ricordo traumatico in cui, senza mezzi termini, la vittima dice cosa accade alla mente e al corpo quando si subisce uno stupro, quando il panico ti pervade e ti paralizza, togliendoti la forza di difenderti.
“Avrei voluto sapermi difendere perché io non ho saputo difendermi e la vergogna e il senso di colpa che ho provato probabilmente è legato a questo, ma io non avevo libertà d’azione e non avevo scelta per questo non è stata colpa mia. Non è colpa nostra quando ci stuprano.”
Gigliola Bejaj: basta stereotipi sulla violenza sessuale
Gigliola va contro i cliché che vedono la violenza sessuale solo in cunicoli bui di zone malfamate perché lei, quella sera, era in un appartamento con il migliore amico di sua cugina. Non c’erano coltelli, non c’era il buio. Lo stupro può avvenire anche alla luce del sole, in centro città, con giacca e cravatta. Perché la violenza sessuale c’è anche tra le mura domestiche, sul posto di lavoro o in palestra con tuta e scarpe da tennis.
“Avevo l’aspetto della famosa ragazza violentata da un tizio con un coltello in un angolo buio per strada, di notte chissà dove, in un quartiere malfamato. Ma io non ero in strada, non c’erano coltelli, non c’era bisogno della notte, non c’era bisogno di questa spettacolarizzazione della violenza. Il famoso cliché è una grandissima cazzata. È così che noi siamo dopo uno stupro anche se non ci sono coltelli, anche se non c’è buio, anche se non c’è la strada. Diventiamo un niente che piange”
Gigliola si scaglia contro la società di oggi che punta il dito contro la vittima e non contro il carnefice. Perché se una donna viene violentata, una delle prime domande è: “com’era vestita?”
“Attribuire lo stupro all’oggetto dello stupro fa parte del mero meccanismo della violenza. Attribuire lo stupro all’oggetto dello stupro ha la mera funzione di impedire di percepire lo stupro come una violenza anche se lo è ed è anche un crimine”
Gigliola Bejaj: “Io sono morta quella notte ma dopo sono rinata”
Nonostante tutto, Gigliola Bejaj è sopravvissuta ed è andata avanti, riuscendo oggi a raccontare quello che ha passato. Fa appello alla nostra coscienza, perché ancora oggi, molto spesso, davanti alla violenza sessuale ci si volta dall’altra parte pur di non vedere; ma si rivolge soprattutto alle altre vittime di stupro come lei, per dire loro che rialzarsi è possibile. Perché subire un’azione così ignobile ti fa cadere in un baratro, ma in quell’inferno si può trovare uno spiraglio di luce, un appiglio, qualcosa a cui aggrapparsi per tornare in superficie. Per tornare a vivere.
“Questi sono i mostri. Questo è quello che ho vissuto io. Queste persone ci circondando e noi chiudiamo gli occhi. Facciamo finta di niente. In questo preciso momento ce ne sono tanti e tante che stanno subendo e lo stanno vivendo. Io voglio dire a queste persone che la vita è meravigliosa. Io voglio dire a queste persone che vivono con una palla di piombo attaccata al collo e per cui tutto è molto difficile, che io so che pensate che il peso vi farà inghiottire, ma voi all’inferno ci siete già stati. Lo stupro non è la fine. Esplorate l’inferno per tutto il tempo necessario, richiede anni per me ci sono voluti anni. É un lungo viaggio, fa male. Poi ritornate, perché voi non siete soli. Noi vi stiamo aspettando e ci sono anche io”.
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