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Settembre 16, 2024, lunedì

Giordano Bruno, la bellezza dell’infinito

Campo de’ Fiori si popola di cardinali, giudici e curiosi. In mezzo alla piazza romana una pira è pronta a fagocitare impietosa il corpo di un domenicano e filosofo originario di Nola: Giordano Bruno. Il 17 febbraio del 1600, così, la Chiesa di Roma sancisce che le idee del religioso debbano essere condannate e cancellate insieme al loro profeta. Il rogo catartico è l’unico crudele strumento che un Santo Uffizio in piena Controriforma può adoperare per mantenere sino all’ultimo la sua autorità. Solo 400 anni Giovanni Paolo II, il 16 Febbraio del 2000, chiederà ammenda dell’atrocità compiuta non solo contro l’uomo ma contro la libertà di espressione e la libera scienza.

La Chiesa contro Giordano Bruno

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Fotografia della statua commemorativa di Giordano Bruno in Campo de Fiori, Roma

Sebbene Giordano Bruno facesse parte del clero stesso, egli non tardò a scontrarsi con le autorità ecclesiastiche e soprattutto con quella tendenza dogmatica e precettiva che la Santa Romana Chiesa si portava da secoli. D’altronde il papato in seguito alla Riforma luterana fronteggiava una forte crisi contro cui tentò con ogni mezzo di mantenere la propria secolare egemonia. Il profilo di un giovane e infuocato religioso così ribelle destava non poche preoccupazioni presso l’Inquisizione. Per molti anni Giordano Bruno riuscì a peregrinare per l’Europa intera arrivando persino a tenere una lectio circa le nuove teorie copernicane a Oxford, in Inghilterra. Teorie, che neppure oltre manica furono facili da accettare. Ad ogni modo, il domenicano ebbe l’occasione di confrontarsi, scontrarsi e scoprire realtà europee affrancate da un’egemonia diretta della Chiesa ma nel 1592 venne arrestato a Venezia e successivamente estradato a Roma. Inizia, così, il processo a Giordano Bruno, costellato di ripensamenti, abiure paventate e ritirate; possibilità di salvezza rifiutate; torture. Alla fine il condannato non cede: nulla ha a che pentirsi se non quello di aver espresso libero pensiero. La condanna è il rogo. La Chiesa, forse, ha vinto ancora.

Giordano Bruno, le opere

Il fermento culturale in cui Giordano Bruno si nutre nel periodo tardo rinascimentale è indubbiamente di grandissima eterogeneità. Egli, infatti, non manca di approfondire non solo le nuove correnti di natura filosofica ma guarda con grande interesse anche quelle discipline di carattere tecnico scientifico, quali la matematica; l’astronomia, Copernico soprattutto, e persino le nuove frontiere della mnemotecnica. La sua visione e il suo sistema di pensiero, quindi, vengono tutt’ora percepite con un carattere di grande originalità che, tuttavia, in seno contengono ciò che oggi noi ben conosciamo del nostro immenso Universo.

Il Candelaio

Ad ogni modo, il filosofo domenicano lascia ai posteri un ingente corpus di opere e trattati che spesso, come consuetudine del tempo, appaiono sottoforma di dialogo. In più aggiunge alla sua produzione l’unica commedia scaturita dalla sua penna, il Candelaio, in cui ha luogo una conversazione fra tre curiosi personaggi. Il primo è il candelaio Bonifacio; l’alchimista e mago Bartolomeo, ossessionato dalla creazione della pietra filosofale e infine un modesto pittore, Gioan Bernardo, effettivo portavoce dell’autore stesso. In questi cinque atti, oltre all’affascinante plurilinguismo che Giordano Bruno sottopone al lettore, appare una forte critica alla decadenza dei costumi che porta con se stupidità, avarizia e sterile pedanteria accademica.

De umbris idearum

Una delle prime opere di natura filosofica da segnalare è, invece, il De umbris idearum in cui è indubbiamente potente l’influenza del neoplatonismo. Infatti il filosofo asserisce nel trattato che alla base della determinazione dell’ Universo stesso vi sono le idee, realtà trascendentali e metafisiche presenti e determinate nella realtà divina. Tuttavia esse nel momento in cui l’uomo, a causa della sua finitezza, cerca di carpirne l’essenza, risulteranno avvolte nell’ombra. Ogni entità, pertanto, risulterà un’imitazione, o mimesis, di quella che è la sua realtà “eidetica” divinamente determinata. L’essere umano, tuttavia, ha la possibilità di cogliere le relazioni che intercorrono tra l’idea e la sua rispettiva emanazione immanente giungendo alla piena comprensione delle leggi complesse su cui l’universo intero si innesta. Per Giordano Bruno l’unico mezzo per giungere a tale rivelazione è affinare e coltivare il potere della memoria. In essa si ritrova la salvezza dalla confusione delle ombre e la capacità di rappresentazione che trascende, quindi, la mutevolezza che gli enti materiali possono subire nel tempo. Scevra da ogni accidente fisico e temporale, la mente può cogliere l’infinito.

De l’infinito, universo et mundi

In quest’opera, sempre sottoforma di dialogo, il nolano rivela una grande intuizione che in età contemporanea troverà una inequivocabile conferma: l’ Universo è infinito. A noi oggi può sembrare scontato ma per secoli l’autorità aristotelica portò le scienze a considerare il nostro pianeta come unico esistente e in più altezzosamente al centro di questo piccolo universo. Copernico portò una ventata rivoluzionaria su questo fronte e Giordano Bruno non esitò a muovere vela con il vento a favore. Le sue conclusioni, tuttavia, non sono di natura scientifica. Egli, infatti, giunge alla stessa conclusione ma perseguendo una via teologica. Se il principio causale, ossia Dio, ha come primo attributo la potenza infinita, poteva Esso determinare una realtà finita? Inoltre, se l’atto creativo è frutto di una reificazione di atto e potenza, libertà e necessarietà, poteva Dio stesso porsi dei limiti contrastando la sua natura? Giordano Bruno protende per una risposta chiaramente negativa. Un mondo in cui gravitano attorno ad un unico pianeta un numero finito di piccoli corpi celesti è impensabile. L’Universo è molto di più: è emanazione di quella grandezza e infinità che solo la bellezza del Creatore poteva concepire. Maestosa, terribile ed ignota.

Il pensiero

In prima istanza, invero, la visione dell’Universo di Giordano Bruno appare asetticamente scientifica e priva di ogni intenzione di sentimento religioso, tuttavia, approfondendo e disvelando alcuni passaggi nelle sue opere si scorge un accorato appello. Dio è la natura ed è nella natura. In quanto tale l’uomo, nel contemplarla, compie un atto di folle amore nei confronti del suo Creatore. Se i filosofi e teologi aristotelici tremano al pensiero di un uomo solitario e insignificante; ramingo per un Universo ignoto e infinito senza alcuno scopo, Giordano Bruno vede in essa un’opportunità di contatto con Dio. Se Egli è sia mens super omnia, entità trascendentale non intellegibile, e al medesimo modo è mens insita omnibus, allora quel divario metafisico tra l’uomo e Dio è colmato. L’uomo non perde la sua centralità nell’Universo ma al contrario diventa il protagonista principale di una realtà sovraordinata ma allo stesso tempo determinata. Dio e la sua creatura prediletta non si perdono nell’Infinito ma al contrario si ritrovano nella sua bellezza.

Paolo de Jorio

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