Giovani e politica: non (più) un paese per vecchi

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Di Rossella Papa

Periodo di comunali a Roma, con il classico scenario da campagna elettorale. Ma questa volta, con una prospettiva e un coinvolgimento che per molti potrebbe assottigliare il gap generazionale e di mentalità. Sarà la presenza di molti ragazzi e ragazze  – più degli altri anni – tra i candidati, ma per una volta tra giovani e politica non ha vinto l’apatia elettorale che per i millennials era parte di un processo di ribellione alla società. 

Da un lato la noia e l’indifferenza, dall’altra la provocazione: perché questo non è mai stato un paese per giovani in politica? L’indolenza con cui le nuove generazioni si sono tagliate fuori da qualsiasi responsabilità elettorale e di voto è da giustificare (ma non troppo) nella sfiducia con cui guardano alla politica. Perché votare, sostenere, rendersi attivi in una società (e per una società) che in fondo li costringe alla precarietà? L’astensionismo è sempre stata la difesa tossica da responsabilità proprie e collettive che in realtà non fanno altro che incrementare il problema alla radice. Il “non voto” è per i Millenials la reazione a un disincanto nel potere politico, alla delusione di una presa di posizione sempre esclusiva, il movente per rendersi inconsapevolmente ancora più esclusi dallo scenario attuale.  Quello che si presenta come un assenteismo politico cronico non è altro che il malessere della nuova generazione nei confronti del concetto stesso di cambiamento e società. L’attuale dibattito politico non genera un richiamo responsabile che nel voto riconosce la partecipazione attiva della vita della comunità. 

Giovani e politica: quando è “una roba che non gli appartiene”?

Se sui social il dibattito acceso dei giovani si orienta sempre verso un settore di intrattenimento, artistico culturale, è perché è lì che la generazione riconosce la propria posizione. E di dirette e storie sulle competizioni elettorali se ne vedono sempre poche. L’interrogativo allora è da ritrovare nel ruolo che i giovani sentono di avere in politica. È una roba che non gli appartiene? E perché? Perché sono disinteressati e disinformati o perché non c’è posto per la loro considerazione? In questi mesi, però, le liste si sono popolate di giovani candidati, di donne in politica con proposte di parità di genere, di ragazzi che per una volta hanno portato sul tavolo non solo i problemi di una città ma anche quelli di una generazione che vive la città. Se le sorti di un Paese sono nelle mani di una nuova generazione, allora è reale la visione d’insieme dei problemi che solo chi li riscontra può provare a risolverli. E in questa prospettiva, i giovani candidati hanno per la prima volta strutturato una campagna elettorale su quelli che sono i nuovi strumenti di divulgazione e condivisione. È la manovra del futuro che dimostra il divario nelle modalità di propaganda. Ma se ai giovani che dobbiamo lasciare un paese migliore, è a loro che dobbiamo parlare. E per farlo, è con lo stesso canale con cui si riconoscono, si aggregano. 

I giovani in politica hanno il bisogno di identificarsi in un impegno civile, politico, morale che finora gli è sempre stato sminuito e svilito in prospettiva di proposte sempre volte a chi guarda il bene comune senza lungimiranza. I problemi dei giovani oggi rappresentano l’urgenza di prendere voce per affrontarli. E non soltanto perché in politica c’è gente “troppo adulta” (che poi, che definizione sarà?) per considerare il reale scenario della città. I problemi dei giovani non sono dei giovani, sono gli scenari di un’intera prospettiva di vita del paese. Il distacco del mondo giovanile dalla politica è nei discorsi che riempiono solo la bocca degli italiani, senza valutare programmi realistici. Non è nella promessa, ma nell’offerta. A cui spesso sono esenti i giovani stessi. Nell’istituzione di programmi sempre volti a risolvere i vecchi problemi e mai a considerare quelli che stanno nascendo adesso. E che, in un modo e nell’altro, sono responsabili del futuro del paese. Per una volta però l’insoddisfazione da anti-sistema dei giovani è stata una reazione attiva più che apatica e ostile. Sarà la possibilità di prendere voce, ognuno sul suo palco anche individuale, per sentirsi protagonisti dei problemi stessi che si subiscono. E questa volta non nel vittimismo dei figli sfortunati di questa generazione, ma nella volontà di rendere i propri margini il punto focale della prospettiva. E far comprendere, e proporre questa volontà come partecipazione attiva. 

E magari, la curiosità di vedere i propri compagni di università sui cartelloni elettorali oggi diventa lo stimolo di domani… fosse anche per andare a votare, questa volta.