Glass Onion: Netflix decostruisce le regole del delitto perfetto

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Di Benedetta Vicanolo

A distanza di quasi tre anni dall’uscita di Knives Out – Cena con delitto, Netflix prende in mano la produzione dell’iconico film e ne fa un franchise tenendo con sé Rian Johnson, regista e sceneggiatore, e il protagonista Benoît Blanc, interpretato da un iconsueto Daniel Craig. Glass Onion esce sulla piattaforma durante le festività e la critica ne omaggia i riferimenti culturali e la narrazione incalzante e veloce, tipica in realtà dei film mistery gialli ispirati ai romanzi di Agatha Cristhie.

Entrambi i film di Rian Johnson sono costruiti come se fossero interattivi e funzionano come un gioco di società (non a caso nell’ultimo film si sprecano i riferimenti a Cluedo, che credo/spero abbia una partnership con Netflix). Quindi il gusto di guardare Glass Onion sta tanto in come la storia viene raccontata quanto nel piacere di poter giocare insieme al suo protagonista, cercando di trovare prima di lui la soluzione. Non succede: la narrazione di Glass Onion risulta -a tratti- talmente facile che svelare il mistero sembra talmente ovvio da non sembrare vero; eppure, la piacevolezza della narrazione e il carisma dei suoi personaggi finiscono per ammaliare gli spettatori.

Il racconto di un vuoto intellettuale

https://www.netflix.com/title/81458416
KNIVES OUT 2

Glass Onion risulta un film incalzante che ha la spocchia di voler dire di più rispetto a quello che è in grado di fare. Il film riprende il personaggio di Benoît Blanc che, in piena pandemia, si ritrova affetto da una crisi mistica per la mancanza di misteri da risolvere. Blanc sembra ritrovare vita quando viene invitato sull’isola di Miles Bron (Edward Norton), multimiliardario genio del settore high tech. Quest’ultimo, insieme al suo gruppo di amici, si diverte a organizzare una volta all’anno degli eventi in cui ci sono degli enigmi da risolvere, questa volta però non aveva messo in conto un vero omicidio (o forse sì).

Risultano iconici i riferimenti culturali: da quello un po’ sempliciotto alla Gioconda alla citazione di Gillian Flynn, sceneggiatrice di Gone Girl. Il risultato è una narrazione semplicistica e schematica che nel suo complesso funziona bene, grazie anche al valore che Netflix ha attribuito al film. Perché – in realtà – Knives Out era un format che prometteva molto bene e che nella ridicolizzazione di una certa classe sociale alto borghese trovava una chiave stilistica organica e incisiva. Glass Onion è invece il ricettacolo di polemiche netflixiane già viste, in cui nulla trova mai la sua giusta collocazione neanche le sue critiche più feroci. Ammetto di aver apprezzato particolarmente il personaggio di Edward Norton che, tra tutti, è quello sviluppato meglio – con il piccolo omaggio a Tyler Durden di Fight Club credo di aver lanciato un piccolo urlo. Tuttavia è nella chiave di quel personaggio che si sviluppa la riflessione più significativa e interessante, ma il regista, o la casa di produzione, decidono di stroncarla sul nascere.

L’anacronismo del lockdown

Uno dei problemi principali di Glass Onion è l’anacronismo storico in cui è stato rilasciato. Il film avrebbe funzionato ugualmente a prescindere dalla sua contestualizzazione nel preciso momento del lockdown, durante il 2020. Eppure la scelta è stata quella di porre l’accento, almeno per la prima parte del film, sul periodo di chiusura forzata per dare delle scuse annacquate di cui il film avrebbe fatto volentieri a meno. Glass Onion poteva essere un film senza tempo, proprio come il suo predecessore, ma nella smania di cavalcare dei topic, nel 2022 già superati, rimane incastrato nelle trame temporali che, in un mondo che corre veloce come il nostro, appartengono già al passato.

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Benedetta Vicanolo