Speciale Halloween: l’oscura realtà dietro l’infermiera di “Misery”

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Di Chiara Cozzi

Kathy Bates è talmente brava che più di una volta è stata in grado di terrorizzarci davvero: uno dei suoi ruoli più celebri è senza dubbio quello di Annie Wilkes in Misery non deve morire, adattamento cinematografico del romanzo di Stephen King che, diciamocelo, ci ha fatto un po’ cambiare opinione sulle infermiere.
Soprattutto se sono come Genene Jones, la protagonista di questo articolo sulle cui gesta il re del brivido ha modellato proprio il personaggio di Annie.

Annie Wilkes in "Misery non deve morire" © crediti fotografici: wikipedia.org
Annie Wilkes in “Misery non deve morire” © crediti fotografici: wikipedia.org

L’incubo della pediatria

Genene Jones frequenta la scuola per diventare infermiera intorno agli anni ’70, in Texas, dove trova poi lavoro, in qualità di volontaria, presso la terapia intensiva neonatale e pediatrica al San Antonio Hospital. Non ci vuole molto perché le cose comincino a complicarsi: successivamente alla sua assunzione, infatti, il numero di piccoli pazienti deceduti cresce in maniera esponenziale e, apparentemente, inspiegabile. L’ospedale teme una denuncia, perciò decide di assumere solo infermiere certificate.

Genene Jones © crediti fotografici: click2houston.com
Genene Jones © crediti fotografici: click2houston.com

Genene dunque è costretta a lasciare il lavoro e a spostarsi a Kerrville, dove viene assunta nell’omonimo ospedale. Come da copione, dopo l’arrivo della donna muoiono avvelenati con un farmaco anestetico sei bambini. Scoprire la stranezza non è complicato: è infatti una collega di Genene, l’unica che con lei aveva accesso al magazzino delle medicine, a notare dei piccoli fori di ago su una confezione del farmaco.

Genene Jones viene ufficialmente condannata per due omicidi, ma si suppone che il numero effettivo di morti per sua mano si aggiri attorno ai 60. La donna dichiarerà che il suo intento era quello di stimolare la creazione di un reparto di terapia intensiva pediatrica proprio lì a Kerrville.

Dopo aver letto questa storia, certamente la paura che da anni ci incute Annie Wilkes appare irrazionale, soprattutto se confrontata con la follia di un’infermiera a cui erano affidate le cure di pazienti piccolissimi e indifesi. Tuttavia il parallelo tra le due donne si fonda proprio sulla loro professione e sulla conseguente degenerazione. Entrambe hanno approfittato di strumenti e competenze che in un normale contesto servono per fornire cure e assistenza, allo scopo di vedere realizzate le proprie malate fantasie.

Per approfondire:
Kathy Bates, la (non) cattiva di Hollywood
“Misery non deve morire”, Kathy Bates da brividi

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CHIARA COZZI