Heartstopper: recensione della serie che ridefinisce gli Young Adult LGBTQ+

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Di Carola Crippa

Heartstopper è disponibile su Netflix. La serie, tratta dalla graphic novel omonima di Alice Oseman, racconta la storia dell’amore adolescenziale tra Nick (Kit Connor) e Charlie (Joe Locke) e del loro gruppo di amici. La stessa Oseman ha collaborato alla sceneggiatura della serie, in un adattamento fedelissimo che però risulta essere coerente con il nuovo medium impiegato. 

L’efficacia di una narrazione semplice

La trama di Heartstopper è piuttosto semplice. Charlie, studente brillante e introverso, apertamente gay, inizia un’amicizia che si trasformerà in una relazione con il suo compagno di banco Nick. Nick è un giocatore di rugby e fa parte del gruppo dei ragazzi popolari della scuola. Il ragazzo sente costantemente la pressione tra come i suoi amici vorrebbero che sia e chi veramente è. Parallelamente alla storia principale si intrecciano le storyline dei personaggi secondari: Tao e Elle, Tara e Darcy.

La linearità della trama, però, non è un difetto, anzi. Raramente siamo di fronte a prodotti mediali queer che affrontano le relazioni adolescenziali con così tanta semplicità e genuinità. Non ci sono drammi o relazioni tumultuose. Tutte le coppie che si formano hanno il loro personale happy ending, senza che si ricada nel classico trope del “bury your gays” che per anni ha caratterizzato le serie e i film con protagonisti LGBTQ+.

Privilegiando una trama senza troppi colpi di scena o momenti di tensione, i protagonisti di Heartstopper hanno modo di esprimere tutto il loro potenziale in quanto tali, senza essere inghiottiti dalla drammatizzazione che viene solitamente imposta ai personaggi queer. Il loro appartenere alla comunità LGBTQ+, infatti, è qualcosa di cui vanno fieri, ma che non li definisce in toto. I personaggi vivono le loro relazioni interpersonali con semplicità e in maniera del tutto naturale. La causa dei momenti di tristezza e sconforto è sempre esterna e da attribuirsi ad un contesto sociale ancora fortemente omobitransfobico. 

Tra rappresentazioni veramente inclusive e coming out

Heartstopper riesce benissimo anche nella rappresentazione dei personaggi LGBT+ e dei loro coming out. Nick capisce di essere bisessuale. La sua realizzazione, però, non cambia la relazione che sta intrecciando con Charlie, è solo il modo con cui il ragazzo si sente più a suo agio nel definirsi. Lo stesso Charlie non mette mai pressioni su come il suo ragazzo debba etichettarsi, ma anzi, è fiero quando Nick si apre con lui. Raramente nelle serie siamo di fronte a personaggi bisessuali ben caratterizzati e sviluppati come in Heartstopper. Non si indugia mai su stereotipi bifobici, nessuno sente il bisogno di chidere a Nick se è sicuro della sua sessualità o se è solo confuso. La sua bisessualità non viene mai invalidata da nessuno nel suo nuovo gruppo di amici, anzi, viene accettata e registrata con naturalezza. 

E naturalezza è il termine più adatto anche per descrivere la rappresentazione di Elle, ragazza transgender che, dopo la sua transizione, passa dal frequentare una scuola maschile ad una scuola femminile. Elle fa riferimento alla sua disforia e al bullismo che ha subito nella precedente scuola, ma non è ciò che la definisce o la caratterizza. La storyline di Elle, infatti, ruota attorno alle nuove amicizie, ai nuovi inizi e alla scoperta del primo amore. La stessa attrice che interpreta Elle, Yasmin Finney, ha dichiarato che nel suo personaggio “viene sottolineato tutto ciò che c’è di naturale nell’essere trans. Sono così contenta di incarnare la rappresentazione positiva di cui avevamo bisogno da anni”. E importantissmo è anche il fatto che Finney sia un’attrice transgender, rendendo il cast veramente inclusivo. 

Anche la relazione tra Tara e Darcy, le due nuove amiche di Elle, si sviluppa in maniera dolcissima e senza i drammi a cui la rappresentazione delle relazioni lesbiche è spesso soggetta. La rappresentazione delle relazioni tra donne, infatti, molto spesso subisce la cosiddetta “sindrome della lesbica morta”. Le storie saffiche nei media, infatti, molto spesso finiscono con la morte di una delle due o in tragedia. 

Le due ragazze, qui, invece, si innamorano e vivono la loro relazione con semplicità, sentendosi libere di fare coming out prima con i loro amici e poi in maniera pubblica con un post su Instagram.

E Anche l’atto del coming out non è vissuto, per ammissione degli stessi personaggi, come un evento epocale o come qualcosa che li cambia e li ridefinisce, ma come semplice accettazione e registrazione di chi si è. Nella serie, infatti, il coming out è condivisione della propria identità con le persone care. Aggiunge una sfumatura della propria persona, ma non è un evento sbalorditivo che riarticola l’ essenza e la percezione dei personaggi.

Il coming out di Nick con sua madre (interpretata a sorpresa da Olivia Coleman), nella sua spontaneità è efficacissimo. La mamma si scusa di non aver creato le condizioni adatte per poter fare aprire il figlio. E quindi, forse, la creazione di ambienti sicuri in cui sentirsi sereni è il fulcro della trama e ciò che realmente rende la serie qualcosa di innovativo.

Pressioni di una società eteronormativa

La semplicità e la naturalezza della trama e del modo in cui le relazioni tra i protagonisti vengono vissute, però, non vanno scambiate per ingenuità. L’amicizia che si crea tra i ragazzi è uno spazio sicuro in cui il gruppo può vivere serenamente i rapporti, senza sentire sulle spalle il peso di una società omobitransfobica. 

Nick percepisce la pressione dei suoi coetanei, il dover essere come loro, parlare di certi argomenti, avere per forza una ragazza. Elle e Charlie sono stati vittime di bullismo a causa della loro identità.

Charlie, inoltre, si sente costantemente sbagliato a causa della sua prima relazione, precedente a quella con Nick. Il rapporto, infatti, è stato vissuto con vergogna e reticenza dal suo ex ragazzo, Ben. Anche in questo caso, però, non assistiamo ad una colpevolizzazione di Ben per la sua paura di fare coming out, ma esclusivamente per il fatto che si comporti da bullo nei confronti di Charlie. Inoltre, se nel caso di  molte relazioni omosessuali in film e serie tv si finisce per cadere nel cliché poco innovativo della relazione tra un ragazzo apertamente dichiarato e il suo bullo represso (un esempio su tutti Adam ed Eric di Sex Education), in Heartstopper succede il contrario. Charlie, infatti, capisce che la sua relazione con Harry è tossica e non gli fa bene: di conseguenza, decide di troncarla. 

Anche il coming out di Tara, vissuto dalla ragazza con serenità, diventa motivo di tristezza esclusivamente a causa dei coetanei che invalidano la sua identità. Tara dice a Darcy, la sua ragazza, che non si pente di essere finalmente out. Infatti, la cosa che la fa stare peggio è che venga percepita dagli altri come una persona diversa rispetto a prima del suo coming out. La serie, infatti, analizza il modo con cui chi non appartiene alla comunità LGBTQ+ tenda ad associare le persone solo ed esclusivamente in virtù della loro “etichetta”. Il coming out di Tara evidenzia bene che l’essere out è solo una sfumatura della propria persona, ma non va a definire in toto chi si è. Soprattutto, non deve essere fonte di feticizzazione o ignoranza da parte di chi non appartiene alla comunità. 

Un pregio ulteriore: musica e fotografia

Una chicca in più sono musica e fotografia. La colonna sonora è ricca di artisti indie e si adatta benissimo al genere “coming of age” della serie. Inoltre, molti degli artisti selezionati sono apertamente LGBTQ+: una scelta realmente inclusiva che permette alle relazioni queer di avere una loro personalissima soundtrack.

Anche la fotografia è molto curata e piacevole dal punto di vista visivo ed estetico. Elemento molto carino sono le piccole animazioni che di tanto in tanto appaiono sullo schermo, simili a quelle della graphic novel di Alice Oseman. 

In conclusione

La serie, quindi, risulta godibile e leggera senza essere superficiale e senza sacrificare il peso dei temi trattati. Soprattutto, fa capire l’importanza nell’avere dei prodotti destinati a persone queer scritti da persone apertamente queer. Per lo spettatore, infatti, è più semplice riconoscersi e immedesimarsi in narrazioni scritte da autori che hanno vissuto le sue stesse esperienze, i suoi dubbi e insicurezze. Dopo anni di queerbaiting o di raffigurazioni forzate e ricche di stereotipi, quindi, ci si sta finalmente aprendo a rappresentazioni realmente inclusive e sincere.

Heartstopper è sicuramente uno fra i tanti prodotti mediali validi che mostra al meglio la naturalezza delle relazioni tra adolescenti queer. Il pregio principale della serie è quello di rappresentare con scioltezza e sincerità l’adolescenza di un gruppo di ragazzi tra amore, amicizia e, talvolta, le difficoltà causate da una società ancora troppo eteronormativa.

Carola Crippa

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