La regista francese Mounia Meddout, nata in Algeria è tornata in concorso a Cannes nel 2023 con il film “Houria” dopo aver presentato nella sezione Un certain regard il suo primo lungometraggio “Non conosci Pepicha” che nel 2020 ha ricevuto il Premio Cesar come migliore opera prima. I due film sono molto vicini tra loro. La protagonista è in entrambi i casi interpretata da Lina Khoudri, una giovane attrice dal fisico minuto ma dalla grande forza espressiva. Papicha era una giovane stilista nell’Algeria degli anni ’90 scossa dalla repressione islamica che lottava insieme a un gruppo di altre donne contro l’imposizione dello Hijab.
Houria, che in arabo vuol dire libertà, è una giovane che sogna di diventare una ballerina classica professionista, mentre si mantiene lavorando in un hotel. Si allena duramente sulla sua terrazza spoglia e baciata dal sole al tramonto, per entrare nel corpo di ballo per la messa in scena del “Lago dei cigni”. Sin dalle prime riprese delle sequenze di danza lo spettatore percepisce di trovarsi di fronte non semplicemente a un esercizio fisico fine a sé stesso.
La danza di Houria si configurerà come una manifestazione della ribellione femminile all’oppressione maschile, che in Algeria così come in altri paesi di religione islamica ha mietuto numerose vittime. Come nei più celebri film di riscatto di ambientazione sportiva, (“Tonya”, “The Wrestler”, “Million dollar baby”, Southpaw”), la nostra eroina dovrà affrontare diverse peripezie per raggiungere il suo sogno che man mano che la narrazione prosegue diventa un sogno collettivo le cui protagoniste sono un gruppo di donne determinate a curare le loro ferite.
Houria, una ballerina senza voce
Un’aggressione dopo una scommessa in un giro di combattimenti clandestini tra animali, procura a Houria una frattura alla caviglia e un mutismo post-traumatico. Soltanto la vicinanza con le altre combattenti di questa piccola e radiosa storia la aiuterà a rialzarsi. In assenza della voce, saranno i gesti del linguaggio dei segni che gli viene insegnato da altre donne mute e la danza gli unici due mezzi di espressione della giovane indomita. La macchina da presa danza con lei, la accompagna nella caduta per poi sostenerla nella risalita.
Documenta ogni piccolo gesto del corpo che riprende vita pian piano, sempre avvolgendo il corpo snello di Lina Khoudri di una luce tenue come quella che si riflette sul mare algerino. Calzante è la scelta dei costumi della sequenza dell’esibizione di gruppo dove Houria in oro sembra incarnare un raggio di sole, mentre le donne a cui ha insegnato a danzare sono in azzurro. Il linguaggio corporeo preso a riferimento è quello istituito dalla coreografa Marie Claude Pietragallo, di cui Houria sta leggendo il suo libro “Il teatro dei corpi”.
Si tratta di una danza libera dalle costrizioni del balletto classico, una metafora riuscita della ricercata libertà delle donne islamiche. La eterogenea materia narrata che incrocia dramma, danza e azione va di pari passo con una colonna sonora dagli accostamenti sorprendenti. Si passa dalla musica elettronica al pop italiano, c’è la piacevole sorpresa di “Felicità” di Albano e Romina e l’intensità di Maria Callas.
La contrapposizione di giorno e notte
La luce del giorno inquadra le vicende del microcosmo femminile di cui Houria incarna il centro. Le sequenze più significative avvengono di giorno, come il momento in cui la giovane riprende a ballare sotto lo sguardo sorpreso delle sue compagne in una cornice bucolica, così come le faticose sedute di fisioterapia. D’altro canto la notte è il terreno propizio per le azioni di violenza e soprusi perpetrate dagli uomini a danno delle donne. È di notte che Houria viene aggredita, è di notte che nella centrale di polizia è testimone della corruzione degli uomini di legge che proteggono il suo aggressore.
La notte rappresenta anche il pericolo di un ritorno dei fantasmi della guerra civile degli anni ’80-’90. L’intento della regista era quello di ritrarre la contemporaneità dell’Algeria, un paese che ha ancora tante ferite come quelle sul corpo di Houria, che con la sua danza tribale, organica e radicalmente ancorata alla terra che racconta, riesce a essere manifestazione di una libertà possibile.
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Eleonora Ceccarelli