Tanti sono i ruoli con cui Al Pacino ha segnato la storia della settima arte. Forse troppi. Troppi per un libro, figurarsi per un articolo. Per questo ci concentreremo su cinque tappe della sua carriera che ne mostrano il talento, il carisma e le innumerevoli sfaccettature.

La salita alla ribalta arriva nel 1972 con “Il padrino“, diretto da Francis Ford Coppola. Pacino – battendo la concorrenza di rivali come Jack Nicholson, Robert Redford e Warren Beatty – si vede affidare la parte di Michael, il figlio minore del boss mafioso Vito Corleone (Marlon Brando), eroe di guerra e riluttante a entrare nel giro malavitoso della famiglia. L’attore incarna la metamorfosi di un uomo dagli ideali diversi che, nel corso degli anni (e dei successivi capitoli della saga), riesce a compiere il proprio dovere verso la sua famiglia, condannando a morte la propria anima. Un giovane soldato idealista che si trasforma in un crudele imprenditore del crimine: una crudeltà che non risparmia nemmeno la famiglia che ha l’onere di guidare.

La strada di Al Pacino verso l’Oscar

Nel 1975 prende parte al film di Sidney LumetQuel pomeriggio di un giorno da cani“, ispirato alla storia vera di una rapina in banca avvenuta nel ’72 a New York. Pacino interpreta Sonny, un veterano del Vietnam che per pura disperazione ha assaltato la banca insieme al compagno Sal (John Cazale), talmente disperato da suscitare la compassione dei dipendenti presi in ostaggio. Nel 1983 un altro ruolo iconico: l’indimenticabile Tony Montana, gangster cubano alla conquista del mondo in “Scarface” di Brian De Palma, remake del classico degli anni ’30 diretto da Howard Hawks.

Un altro remake gli consegna stavolta l’ambitissimo Oscar come miglior attore protagonista: è “Scent of a Woman” (1992). L’attore dà vita all’indimenticabile colonnello Frank Slade: costretto alla cecità dopo un incidente e al congedo dalle forze armate, questo impenitente seduttore di donne dall’animo tormentato decide di trascinare un giovane studente (Chris O’Donnell) alla scoperta della vita. L’anno successivo, un altro capolavoro sempre in tandem con Brian De Palma, “Carlito’s Way” (1993): un altro gangster (stavolta portoricano), Carlito Brigante, uscito di prigione dopo cinque anni di reclusione e più che mai deciso a non tornarci; purtroppo per Carlito, il destino e le regole del suo “barrio” sono più forti del volere degli uomini e si troverà a camminare sul filo del rasoio nella speranza di salvare sé stesso e la donna (Penelope Ann Miller) con cui sogna, su un spiaggia in riva al mare, di costruire un futuro.

Davide Cossu

Seguici su Google News