Paolo Sorrentino nasce a Napoli il 31 maggio del 1970, a soli 16 anni, si trova costretto ad affrontare la prima grande tragedia della sua vita perdendo entrambi i genitori in un drammatico incidente domestico. Il futuro regista si salva, perché non si trova con loro: “A me Maradona ha salvato la vita. Da due anni chiedevo a mio padre di poter seguire il Napoli in trasferta, anziché passare il week end in montagna, ma mi rispondeva sempre che ero troppo piccolo. Quella volta finalmente mi aveva dato il permesso di partire: Empoli-Napoli. Citofonò il portiere. Pensavo mi avvisasse che era arrivato il mio amico a prendermi. Invece mi avvertì che era successo un incidente. In questi casi non ti dicono tutto subito. Ti preparano, un poco alla volta. Papà e mamma erano morti nel sonno. Per colpa di una stufa. Avvelenati dal monossido di carbonio”.
Dopo un periodo buio causato dal trauma vissuto, Paolo finisce il liceo e si iscrive alla facoltà di Economia e Commercio, ma la sua esperienza universitaria si conclude a soli cinque esami dalla laurea. Qualcosa stravolge per la seconda volta la sua vita, in questa occasione in maniera positiva: il cinema. Nel 1994, a 24 anni, dirige il suo primo cortometraggio e inizia a collaborare come ispettore di produzione e aiuto-regista. “L’amore non ha confini” è il primo lavoro scritto e realizzato completamente da Sorrentino e questa esperienza dietro la macchina da presa prosegue con la stesura di alcune sceneggiature per registi già noti, tra i quali Michele Placido. Nel 2001 realizza invece un lungometraggio, intitolato “L’uomo in più”, il primo dei suoi film ad avere come protagonista l’amico Toni Servillo. Il sodalizio con l’attore prosegue con “Le conseguenze dell’amore”, pellicola che finalmente rivela la bravura del regista al grande pubblico.
Paolo Sorrentino e il film dedicato ai genitori
“È stata la mano di Dio” che conferma ancora una volta il suo legame professionale e di amicizia con l’attore Toni Servillo. La pellicola è stata definita un romanzo di formazione amaro, personale e autobiografico. Racconta, infatti, la storia di Fabio (alter ego del regista) che vive nel capoluogo partenopeo. I genitori muoiono tragicamente per una fuga di gas mentre il ragazzo si trova allo stadio per sostenere il Napoli. La mano di Dio a cui il regista fa riferimento nel titolo del film è proprio il suo idolo, El Pibe de Oro, colui che “gli ha salvato la vita” facendo sì che non si trovasse quel giorno in quella casa. Fabio però, dopo il lutto, vive un periodo di dolore e sperdimento che non gli permette di vedere prospettive di futuro, fino a quando scopre il cinema e se ne appassiona. Il cinema gli dà finalmente uno scopo, gli restituisce di nuovo la vita.