Dopo circa vent’anni dalla fine della realizzazione della volta, Michelangelo Buonarroti torna nella Cappella Sistina. Questa volta però si deve occupare di affrescare la parete dell’altare, con una scena immensa. Circa quattrocento figure su una superficie di centinaia di metri quadrati compongono una delle opere più visitate al mondo. Il Giudizio universale e l’eterna apocalisse, firmata da un artista unico nel suo genere, destinata all’Olimpo dell’arte.
Il giudizio universale: personaggi e ispirazioni
Come cita il titolo dell’opera, Il soggetto principale del Giudizio Universale di Michelangelo Buonarroti è quello dell’Apocalisse, l’arrivo del giudizio divino. L’atmosfera è caotica, carica di tensione e pathos. I dannati nella parte bassa sono terrorizzati dall’arrivo delle punizioni, i credenti conservano arie speranzose, lontani dai demoni orripilanti che l’artista dipinge, mosso dall’immaginazione.
Tutto racchiuso in un grande vortice di movimento, con al centro un Cristo forte e splendente. Una delle ispirazioni principali per questo soggetto è senza dubbio la Divina Commedia di Dante Alighieri. Michelangelo infatti la cita graficamente, soprattutto per la resa delle atmosfere tese e per le pene dei dannati.
Lo scandalo degli “ignudi”
A partire dal 1536, in cinque anni di lavori incessanti, Michelangelo affresca praticamente da solo, l’enorme parete. La gran parte dei personaggi rappresentati è nuda e tale scelta suscita molto scalpore. Nonostante la meraviglia del lavoro infatti, completato nel 1541, tutti quegli “ignudi” in pose ardite, sembrano categoricamente inadatti a un luogo di culto. Così, il Concilio di Trento stabilisce che le figure vengano rivestite e incaricano Daniele da Volterra.
L’affresco, voluto da papa Clemente VII, ma terminato sotto Paolo III presenta varie curiosità. Le figure non hanno tutte le stesse proporzioni, ma variano in base alla loro altezza, per rendere ottimale la visione dal basso, quella del visitatore. Sempre per questa stessa causa, Michelangelo pensa anche di creare una “sporgenza” nella parte superiore della parete, così da avvicinarsi ancora di più al fruitore
L’azzurro del Giudizio Universale
Infine Michelangelo non si risparmia nemmeno sui colori. Lo sfondo, azzurro brillante che oggi ammiriamo in estasi è il frutto di due importanti scelte, avvenute in tempi molto diversi. La prima è quella dell’artista stesso, al momento della creazione. Michelangelo sceglie infatti un pigmento molto brillante, ma anche molto caro e raro: quello derivato dal lapislazzuli. La pietra, di origini afghane riesce a rientrare nel budget, solo perché in questo caso, a differenza che per la Volta, i costi dei materiali sono coperti dal papa stesso.
La seconda scelta è quella operata nel secolo scorso. A partire dagli anni ‘80 del 1900 infatti, un sapiente restauro ha reso possibile la fruizione che oggi abbiamo dei magnifici colori del Giudizio Universale. Nei secoli infatti, l’affresco si era terribilmente scurito, per via dei fumi dei ceri accesi durante le cerimonie. Grazie al minuzioso lavoro dei restauratori, l’opera è tornata al suo originale splendore, consentendoci oggi di ammirarla quasi come doveva risultare a Michelangelo appena terminata.
Claudia Sferrazza
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