Il linguaggio si sta impoverendo sempre di più ed è anche colpa dei social

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Di Mariadonata Di Lorenzo

«È pleonastico da parte tua questo atteggiamento così eristico verso la vita. Ti farebbe bene trasecolare invece di cercar di essere così gaglioffamente luculliano.» Qualche decennio fa questa frase sarebbe stata perfettamente comprensibile, ben prima che le parole utilizzate scivolassero pian piano nel dimenticatoio. Sono solo alcuni dei vocaboli che sono andati perduti, senza assumere nuove forme ma sparendo del tutto e venendo sostituiti da termini più semplici, rapidi e noiosi. Le parole che un tempo abitavano quotidianamente il nostro dizionario mentale coloravano i discorsi, li arricchivano di suoni complessi e altrettanto complesse sfaccettature: trasecolare, per esempio, oltre alla definizione letterale di “essere fuori dal mondo”, assumeva il significato di “restare sbalordito, stupefatto”. Adesso le parole selezionate nei discorsi di tutti i giorni sono poche, scarne e banali, e il nostro linguaggio si sta impoverendo.

Il linguaggio e i social: “Non è mai troppo tardi” del Maestro Manzi

Linguaggio social
Alberto Manzi e la trasmissione “Non è mai troppo tardi”

Nel 1950, circa l’80% della popolazione non era in grado di parlare un italiano corretto. Fu così che uno strumento venne in soccorso anche di chi non poteva permettersi un’istruzione adeguata: la televisione. Il programma si intitolava “Non è mai troppo tardi” e aveva lo scopo di alfabetizzare gli adulti che fino a quel momento conoscevano solo il dialetto. La trasmissione ricevette in seguito il premio dall’UNESCO per i suoi metodi efficaci nella lotta contro l’analfabetismo.

La stessa televisione che un secolo fa piombava in Italia come uno dei maggiori mezzi di divulgazione della cultura, sarebbe poi diventata la sua assassina. Col passare degli anni, le trasmissioni educative vengono gradualmente sostituite da quelle d’intrattenimento, che (sebbene possano giungerci sottoforma di innocente e genuino svago) prenderanno il monopolio della TV e scaveranno la fossa ai programmi didattici.

In un mondo in cui il linguaggio si sviluppa nella sua fase più intensa da bambini, e nello stesso mondo in cui è la televisione a crescere i più piccoli, i programmi infantili sono tra i maggiori responsabili di questo omicidio della lingua italiana. I cartoni animati utilizzano un linguaggio semplice e grigio, non permettendo di attivare nella mente del bambino una maggiore sensibilità ai vocaboli più complessi. Invece, prediligono la stimolazione visiva e un totale intorpidimento del cervello, senza preoccuparsi di abituare l’orecchio a un linguaggio articolato.

Di chi è la colpa?

Uno studio del 2018 ci allarma: gli studenti italiani occupano gli ultimi posti per le competenze alfabetiche; sempre più ragazzi vengono bocciati dai concorsi perché incapaci di scrivere correttamente. A ogni parola corrisponde un pensiero, e più la parola è elaborata, ricca di sfumature e storia, più è vasto il pensiero. Ma allora, il linguaggio si è impoverito perché non siamo più in grado di sviluppare pensieri complessi?

La risposta è no. I pensieri umani mantengono le loro intricate sfaccettature, ma nel nostro secolo anche ciò che richiede il proprio spazio viene semplificato affinché diventi più veloce e accessibile. Se la televisione ha contribuito a uccidere il linguaggio, i social media impugnavano il coltello: sono loro ad oggi i maggiori divulgatori di notizie e cultura, i nostri “Non è mai troppo tardi.” Eppure, per quanta conoscenza si possa estrapolare da questi strumenti, sono anche i principali responsabili dell’impoverimento del linguaggio.

L’importanza della lettura

I social ci hanno insegnato l’arte della velocità, del tutto ora e subito, del minimalismo. Sui social, per far prima, si abbreviano le parole, le emozioni si riducono a faccine, i vocaboli più eleganti diventano superflui e il linguaggio dunque muta, appassisce. Forse si è gettata la spugna. I giovani sono difficili da gestire e chi dovrebbe farlo si arrende di fronte alla loro testardaggine. Ma gli adolescenti sono ancora nella loro fase di apprendimento, e non si può lasciare che si formi una generazione adulta fatta di abbreviazioni e faccine: bisogna spronarli a scrivere e specialmente a leggere. Ogni lettura è valida, ma è importante filtrarla e non lasciare che le loro uniche referenze siano i testi degli influencer, che purtroppo contribuiscono a dissanguare la lingua.

I social, tutto sommato, non esistono da soli. Sono lo specchio della società, e il diario di chi la abita: spetta a noi, dunque, il compito di rinvigorire la lingua italiana e permettere ai social di diventare lo strumento adatto a divulgarla correttamente.

Mariadonata Di Lorenzo

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