Citazionismo social: una società che non sa più trovare le parole

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Di Federica Checchia

Citazionismo social. Un fenomeno apparentemente innocuo, a tratti anche divertente, ma con dei risvolti psicologici da non sottovalutare. Nell’era in cui ogni contenuto è immediatamente fruibile, cercare, trovare e “prendere in prestito” frasi altrui è questione di pochi secondi. Versi di canzoni o di poesie, motti, massime letterarie, di ogni epoca, provenienza e tema: nel calderone della rete finisce di tutto. E così, usati come didascalie delle foto più disparate, troviamo accostati Franco Battiato e Rocky Balboa, Euripide e Lady Gaga, Lucio Battisti e Mercoledì Addams, in un minestrone dalla riuscita non sempre garantita.

A una prima analisi, questa contaminazione tra musica, letteratura, cultura pop e social network potrebbe apparire positiva. Le nuove generazioni hanno l’occasione di scoprire personaggi del passato, accostandosi ad essi spinti dalla curiosità, magari dopo aver letto un aforisma particolarmente ficcante. I più navigati, invece, possono ripescare miti di gioventù e riadattarli ai propri bisogni, forti delle loro conoscenze. Eppure, tanto per non essere da meno e ricorrere un modo di dire, «non è tutto oro quello che luccica». L’utilizzo improprio della produzione artistica ha delle basi e delle conseguenze deleterie, sia per i “ladri”, che per i “derubati”.

Citazionismo social: l’altra faccia della medaglia

Citazionismo Social
Charles Bukowski, scrittore statunitense, tra le “vittime” del citazionismo social

Se, da un lato, avvalersi di citazioni già pronte è di aiuto in termini di velocità e di resa, dall’altro, questa pratica non favorisce di certo il pensiero autonomo. Lo sforzo mentale di riflettere ed ideare un concetto personale viene messo da parte, in favore di un pacchetto pronto all’uso. Il virgolettato si scontra con l’originale, e finisce per stravincere. Prima di postare su Instagram, Facebook, X o TikTok, ci si trova spesso di fronte a un bivio: esporsi e scrivere qualcosa di proprio pugno, correndo il rischio d’incappare in critiche o puntualizzazioni da parte di un altro utente; oppure, lavarsene metaforicamente le mani e affidarsi al talento di qualcun altro, più famoso e ben considerato. Una decisione forse non brillante, ma più sicura. L’insicurezza, il timore di dire troppo o troppo poco e la paura di finire in mezzo al fuoco incrociato del web chiudono mani e bocca, finendo per appiattire gli argomenti e le conversazioni sulle piattaforme digitali, rendendoci sempre connessi ma, al tempo stesso, disconnessi da noi stessi.

Oltretutto, anche usufruendo di un passo tratto da un noto romanzo, si può sempre incappare nell’errore. Quante volte, infatti, una citazione viene attribuita all’autore sbagliato? Così “Lentamente muore”, poesia di Martha Medeiros, diventa di Pablo Neruda, e la paternità di «Conosci te stesso» è contesa tra Socrate, Talete, Solone e molti altri. Un paiolo sovraccarico d’informazioni, prese a caso senza una ricerca preventiva, o alcuna cura nell’assicurarsi che la fonte sia corretta. Una negligenza dettata dalla fretta di essere costantemente online e sul pezzo, e dalla disattenzione al dettaglio, al particolare. L’importante è farsi presenti, rendersi visibili; in che modo, è secondario.

Bukowski, Morrison, e gli altri: i più “depredati” dal web

Sono molte le figure di spicco della musica, della letteratura e della cultura generale che subiscono una rapina quotidiana. Tra di essi, Jim Morrison, storico leader dei Doors. Il patrimonio lasciato dal poeta e cantautore “maledetto” è tra i più apprezzati, grazie all’innegabile profondità delle sue riflessioni. Dunque, ecco che il popolo di internet prende d’assalto i pezzi della band di Venice Beach, li smembra e li incolla malamente nel proprio feed, ad accompagnare un tramonto o un cielo stellato. Altra vittima eccellente è Charles Bukowski, forse il più quotato in assoluto; uno che, se avesse saputo dove sarebbero andate a finire le sue opere, forse si sarebbe astenuto dal prendere in mano la penna. Il padre letterario di Pulp e Factotum è scomparso nel 1994, prima dell’avvento di Google, degli smartphone e di tutto il resto; probabilmente, per lui è stato un bene.

Anche la memoria di Alda Merini viene sovente scomodata. In particolare, ogni otto marzo, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, l’Italia intera ne saccheggia a piene mani la bibliografia, in un trionfo di mimose e luoghi comuni, accostati senza garbo alle sue rime delicate. La poetessa milanese, in ogni caso, è in ottima compagnia. William Shakespeare, Fabrizio De André, Madre Teresa di Calcutta, addirittura Gesù. Questi pezzi da novanta hanno in comune ben poco tra loro, a parte un triste destino comune: il tritacarne del web. Per fortuna, è lo stesso mondo social a prendere in giro questa tendenza. Ecco, quindi, che nascono pagine dedicate a citazioni improbabili, associate volontariamente alla persona sbagliata. Avremo, allora, Mozart che ci rassicura affermando «Tranquilli, ho un piano!» o Pitagora che intona Il triangolo di Renato Zero. Una risposta ironica a una questione spinosa: è meglio combattere l’anonimato attraverso gli altri, oppure “partorire” qualcosa che sia farina del proprio sacco? Una via impervia, ma più soddisfacente. Anche perché, in caso contrario, c’è il pericolo che qualcuno, ben consapevole di star citando il povero Samuele Bersani, altro perseguitato dalla rete, venga a dirci: «sei solo la copia di mille riassunti.».

Federica Checchia

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