“Il mio cuore umano” firmato Nada Malanima , la stessa che conosciamo semplicemente come “Nada“, la cantante. Quella ragazza che alla fine degli anni ’60 esordì a Sanremo portando sul palco un’energia travolgente. Un visetto pulito il suo, e una voce potente. Con forza e determinazione si è fatta spazio tra i tanti interpreti di allora, e con garbo è entrata nella vita di tanti giovani. Eppure la sua era una vita destinata al silenzio. Già, perché quel talento è venuto alla luce per esigenza. Così Nada scrive più che un autobiografia, un diario. Scorrendo le pagine de “Il mio cuore umano” ci si immerge in un’atmosfera antica, di un mondo che forse non c’è più, ma dove le difficoltà , le rinunce e le speranze però restano quelle di sempre.
Quella che Nada racconta è una storia intima, che parte da lei venuta al mondo contro ogni favorevole pronostico. La forza della madre che ha lottato contro i medici che le dicevano che non avrebbe potuto avere figli, e dove persino il suo nome racchiude qualcosa di stranamente magico. Infatti la mamma decise di chiamarla così dopo l’incontro con una zingara. La storia che Nada racconta, passa attraverso lo sguardo di lei bambina, che vede tutto, che si accorge di tutto, è capace di cogliere ogni minimo dettaglio, e mentre lei è tutto questo nessuno si accorge di lei.

“Il mio cuore umano” l’infanzia di Nada
Nada nasce in un paese della Toscana a metà degli anni ’50 e lì diventa bambina. al fianco di un papà, schivo e silenzioso, della sorella amata e un po’ distratta, della nonna premurosa e forte, dello zio, burbero e taccagno e infine la mamma: vittima di un esaurimento. Nada si rinchiude in un silenzio assordante lo stesso che si sta impossessando della mamma. Cresce così in lei il vuoto di quel rapporto altalenante, di quella presenza della madre che si tramuta perlopiù in una devastante assenza.
Un’assenza che per Nada diventa a volte un dolore insopportabile e troppo grande da rinchiudere in un corpo di bambina. Tra le rinunce, i sacrifici, le mancanze e quella sensazione di impotenza di lei che così piccola non sa governare gli eventi della vita. Nada passa molto tempo a contatto con la natura, luoghi in cui il silenzio ha il suono della vita. Frequenta la parrocchia e trascorre molto tempo con le suore e si inventa persino un’altra mamma con cui parlare e a cui voler bene. Tutto questo si svolge con i ritmi della vita di paese, dove tutto sembra avere un destino già scritto accanto alla data di nascita.

La consapevolezza
Nada bambina non mangia, non ha fame, e soprattutto non vuole sottostare a chi decide per lei cosa deve essere la sua vita. Controvoglia fa solo quello a cui effettivamente non riesce a sottrarsi, come prendere lezioni di canto. Lei non vuole cantare, però curiosamente si accorge che la mamma quando la sente cantare sta meglio. Allora Nada canta, e lo fa a dispetto di un leggero soffio al cuore che lei tramuta, con il sostegno della nonna, in una forza in più rispetto che ad una limitazione. E il rapporto con la mamma diventa sempre più simbiotico e di dipendenza l’una dall’altra. La speranza di Nada di poter curare la mamma cantando si tramuta ben presto in un amletico dubbio perché non capisce se cantare è quello che davvero vuole fare o se lo sta facendo solo per amore.
Nada, continua a prendere lezioni e una cosa le sarà ben presto chiara, cantare sarà il passaporto per la libertà. Questo le permetterà di vivere una vita diversa da quella che qualcuno aveva già scritto per lei. Cantare per Nada rappresenta tutto e tanto altro e quello che poi capirà arrivata alla ribalta è che cantare le ha dato la possibilità di dar voce a quel silenzio. Un modo per esprimere la sua rabbia e tutto quello che ha dentro.
di Loretta Meloni
Immagine di copertina (“Il mio cuore umano” Nada Malanima) photo credit: lamiacittanews.it