Il Novecento non è solo arte concettuale (lo sa Vittorio Sgarbi)

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Di Redazione Metropolitan

L’arte contemporanea consacra alla fama alcuni artisti, lasciandone fuori altri: dare vita a questi ultimi è lo scopo di Vittorio Sgarbi.

L’ultima edizione del Salone del Libro di Torino, tenutosi dal 9 al 13 maggio, è stata ricca di eventi. Stand delle case editrici più importanti di Italia, aree ricreative, conferenze e dibattiti. Tra i nomi illustri presenti al festival, noi di Metropolitan ci siamo interessati a quello di Vittorio Sgarbi.

Vittorio Sgarbi al Salone del Libro
(photo credits: Valeria Sittinieri)
Vittorio Sgarbi al Salone del Libro
(photo credits: Valeria Sittinieri)

Durante la giornata di domenica 12 maggio, il critico d’arte ha, infatti, tenuto una lezione riguardante la sua ultima pubblicazione: Il Novecento. Da Lucio Fontana a Piero Guccione. Edito da La Nave di Teseo, il lavoro rappresenta il secondo volume una collezione più ampia, di cui fa anche parte il tomo Il Novecento. Dal futurismo al neorealismo.

Come è facile evincere dai titoli, la conferenza riguarda l’arte del secolo passato. Un secolo che, tuttavia, ha prestato molta attenzione ad alcuni artisti, lasciandone in ombra tanti altri. Il lavoro di Sgarbi verte proprio su questi ultimi: Antonio Ligabue, Lorenzo Alessandri, Giuseppe Ar, sono per citarne alcuni.

Vittorio Sgarbi - Giuseppe Ar
(foto dal web)
Giuseppe Ar
(foto dal web)

Artisti di grande talento, rimasti tuttavia sconosciuti nel panorama artistico contemporaneo che, al contrario, offre tanto spazio e visibilità a nomi come Lucio Fontana e Marcel Duchamp. Conosciuti, in effetti, a tutti.

Il discorso di Sgarbi tocca vari punti, alternando riflessioni profonde ad espressioni, diciamo, dai toni più colorati. I primi ad entrare nelle mire del critico sono gli organizzatori della Biennale di Venezia che, a suo dire, fanno passare per arte anche ciò che non lo è.

Vittorio Sgarbi - Antonio Ligabue - Leopardo
(foto dal web)
Antonio Ligabue – Leopardo
(foto dal web)

In questo modo, quello che dovrebbe essere uno degli eventi culturali principali d’Italia, diventa passerella di pseudo-artisti ipocritamente apprezzati da un pubblico ignorante.

Pseudo-artisti contemporanei e concettuali, le cui opere non vengono nemmeno distinte da oggetti qualunque: una sedia vuota cos’è? Un’opera d’arte o solo una sedia vuota, destinata al custode? Gli spettatori non lo sanno, ed “ecco che vedendo la moglie di Alberto Sordi, seduta su una panca mentre beve dell’acqua, la scambiano per un’opera d’arte”. 

Sebbene le posizioni del nostro Sgarbi possano, talvolta, apparire un po’ esagerate, la sua critica punta a far riemergere dall’ombra pittori bravi, troppo spesso dimenticati in virtù del paradigma che sorregge l’arte contemporanea: la merda è arte, e l’arte è merda.

Vittorio Sgarbi - Piero Manzoni - Merda d'artista
(foto dal web)
Piero Manzoni – Merda d’artista
(foto dal web)

“Questo è quello che succede nel nostro secolo. La merda d’artista viene venduta a 500 mila euro l’una”. Piero Manzoni è diventato un artista famoso a livello mondiale per aver messo la sua merda in una scatola.

E non si capisce nemmeno perché il pubblico stia a guardare il suo lavoro. Secondo Sgarbi, gli spettatori si fermano davanti alla sua celebre opera solo per non essere giudicati: “sai che è una roba stimata, e allora ti fermi a guardarla e ne discuti pure”. Ma sfida chiunque ad apprezzarla sul serio.

Stessa cosa con la moda dell’orinatoio. Il Novecento è stato il secolo d’oro del design, e in un contesto del genere anche un gabinetto può assumere i connotati di un’opera d’arte, quando viene presentato al pubblico da Marcel Duchamp. Si tratta di un passaggio epocale: “Duchamp ci obbliga a non usarlo ma vederlo, cambiando in questo modo la percezione che abbiamo degli oggetti quotidiani”.

Vittorio Sgarbi - Marcel Duchamp - Fontana
(foto dal web)
Marcel Duchamp – Fontana
(foto dal web)

Avvicinandosi, per messaggio, alle riflessioni che sottendono alla Pop Art, “siamo di fronte ad un momento di svolta, durante il quale cambia totalmente il concetto di bello: tutto può essere arte, e anche un magazzino può diventare un museo”, spiega Sgarbi. Sulla scia di Duchamp, il tema dell’orinatoio viene infatti ripreso più volte, fino ad assumere i connotati di un trono, come nel caso del Wc d’oro di Cattelan.

Vittorio Sgarbi - Maurizio Cattelan - Wc d'oro
(foto dal web)
Maurizio Cattelan – Wc d’oro
(foto dal web)

Questo è un filone dell’arte contemporanea, il più celebre, l’arte “applicata”. Inseriamo i Dadaisti, Warhol, gli informali. La grande maggioranza degli artisti più noti del secolo passato possono essere ricondotti a questo motivo. Sul versante opposto c’è però un’altra concezione: l’arte “implicata”. Quella che parla all’uomo, racconta la verità, le paure, la psiche. Ci porta a fare riflessioni sulla condizione umana. È l’arte, ad esempio, di Francis Bacon e di molti altri dimenticati.

Vittorio Sgarbi - Francis Bacon - Head II
(foto dal web)
Francis Bacon – Head II
(foto dal web)

È il caso anche di Antonio Ligabue, quadri stupendi che tuttavia non vengono mai citati dai critici d’arte. Oppure di Lorenzo Alessandri: il suo realismo fantastico, protagonista della fiaba intitolata Hotel Surfanta, ci fa venire i brividi. Storie di morte, di denuncia, storie di vita.

Vittorio Sgarbi - Lorenzo Alessandri - Hotel Surfanta
(foto dal web)
Lorenzo Alessandri – Hotel Surfanta
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Eppure le sue opere mancano alla Biennale e il suo nome è dimenticato. Anche lui ha ironizzato sulla Gioconda, ma l’opera è caduta nell’oblio. Perché la versione di Duchamp con i baffi va bene, mentre quella di Alessandri no?

Vittorio Sgarbi - Lorenzo Alessandri - Gioconda modella invereconda
(foto dal web)
Lorenzo Alessandri – Gioconda modella invereconda
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I tagli di Fontana sono celebri in tutto il mondo, eppure quei tagli erano già stati anticipati da Antonello da Messina nel XV secolo. Ma la storia dall’arte funziona così: inclusione ed esclusione, uno dentro e uno fuori.

Vittorio Sgarbi - Antonello da Messina e Lucio Fontana a confronto
(foto dal web)
Antonello da Messina e Lucio Fontana a confronto
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Fuori sono rimasti anche Giuseppe Ar e Leonardo Cremonini: intensi, intimisti, ignorati.

Vittorio Sgarbi - Leonardo Cremonini - Il desiderio e la notte
(foto dal web)
Leonardo Cremonini – Il desiderio e la notte
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“Non è per mettere in discussione i più famosi, è solo per dire che anche altri dovrebbero esserlo” puntualizza Vittorio Sgarbi. Lo scopo dei volumi appena pubblicati è, dunque, quello di far riemergere dal dimenticatoio tali figure.

Così è stato per Domenico Gnoli: “prima era sconosciuto, oggi sul mercato è quello che vale di più dopo De Chirico”.

Vittorio Sgarbi - Domenico Gnoli - Camicetta verde
(foto dal web)
Domenico Gnoli – Camicetta verde
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“I suoi quadri sono pieni di turbamento: c’è il tema dell’assenza dell’uomo, c’è l’angoscia e la desolazione” commenta Sgarbi. “Il suo stile ha derivazioni rinascimentali che si intrecciano alla Pop Art. La cifra è l’ingrandimento: la realtà minore che diventa maggiore, così un bottone enorme diventa imponente come se fosse una Madonna con bambino.” 

Se il Novecento non è solo arte concettuale, è bene scoprirne il volto nascosto. Quello intimista, rivelatore, capace di raccontare il turbinio di emozioni ed angosce che domina l’animo umano.

Vittorio Sgarbi - Leonardo Cremonini - Mosca cieca
(foto dal web)
Leonardo Cremonini – Mosca cieca
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Turbinio solitamente inafferrabile, ma che diventa tangibile se raffigurato su una tela. Turbinio anche atemporale: dall’età preistorica a quella contemporanea, l’uomo ha sempre e comunque avuto il bisogno e il desiderio di raccontare di sé. In questo modo, la storia dell’arte passa dall’essere semplice disciplina manuale, per assume lo status di sarcofago contenente l’intera storia dell’umanità.

Laura Bartolini