Il punto sul Russiagate

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Di Redazione Metropolitan

Il Russiagate sullo sfondo dell’incontro di Helsinki tra Trump e Putin. Poche ore prima del vertice il procuratore Robert Muller aveva incriminato 12 agenti russi. L’accusa è quella di aver violato i profili di alcuni membri dell’entourage della Clinton durante la campagna elettorale del 2016. Questa incriminazione poteva far saltare il summit ma, i due presidenti fanno fronte comune contro l’inchiesta. A che punto siamo con il Russiagate?

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L’inchiesta viene aperta dall’FBI all’inizio del 2017, nell’occhio del ciclone Michael Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale alla Casa Bianca. Flynn, durante un colloquio con il Vicepresidente Pence, omette di fare rapporto sui suoi colloqui con l’ambasciatore russo Sergey Kislyak. In questi incontri si sarebbe trattato lo spinoso tema delle sanzioni. Sarebbe proprio questo il movente secondo l’accusa, le sanzioni inflitte a Mosca in seguito all’annessione della Crimea. Queste misure fortemente volute da Obama e dall’allora segretario di stato Hillary Clinton hanno riportato i rapporti tra le due superpotenze ai tempi della Guerra Fredda. Lo stesso Putin ammette di aver “tifato” per Trump durante la campagna presidenziale, senza però interferire in alcun modo. Sta di fatto che la vicinanza di alcuni membri dell’entourage di Trump con  figure vicine al Cremlino ricorre nell’inchiesta. Il Russiagate arriva dritto dritto in casa Trump coinvolgendo il figlio del Presidente. Donald Trump Jr. ha ammesso di aver avuto dei colloqui con una avvocatessa russa, ricevendo da lei offerte per del materiale compromettente su Hillary Clinton. Materiale che in ogni caso è stato reso pubblico proprio alla vigilia del voto, quelle mail che fecero perdere alla Clinton la Casa Bianca. Il contenuto di quelle mail non costituiva oggetto di reato ma, portava alla luce un uso irresponsabile delle informazioni. La Clinton per esempio avvisava il principe saudita Faisal del fatto che Wikileaks fosse in possesso di materiale compromettente sulla famiglia reale di Ryad. Il tutto usando l’account riservato. Questo permise a Trump di risalire nei sondaggi e di dare il colpo di grazia ai democratici. Sullo sfondo di tutte queste vicende l’accusa vede l’ombra del Cremlino, fortemente interessato a non far vincere Hillary Clinton. Non depone a favore di Trump la dichiarazione dell’ex capo dell’FBI  James Comey, fervente repubblicano, fortemente voluto dallo stesso Trump a capo dell’agenzia. Comey dichiara di aver ricevuto pressioni dal Presidente per insabbiare il Russiagate. Comey è stato prontamente rimosso dall’incarico ed è destinato a diventare l’ennesima spina nel fianco di Trump. Il Presidente rischia l’impeachment, prima di lui Jhonson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998. Entrambi i precedenti hanno comportato le dimissioni del Presidente. Trattandosi di “The Donald” tutto lascia presagire che in caso di impeachment il Presidente rimarrà saldo al posto di comando. Questa previsione traspare anche dall’arroganza ostentata durante il vertice con Putin di ieri. I due tra occhiolini e strette di mano si fanno beffe dell’inchiesta di Muller. La guerra fredda sarà anche finita ma l’offensiva del Cremlino per riaffermare il ruolo della Federazione Russa sul panorama internazionale sembra più calda che mai. Tutti gli indizi portano a Mosca, ora non resta che trovare le prove, sempre che ci sia la reale intenzione di farlo. Le implicazioni potrebbero essere tanto destabilizzanti da non volerle affrontare.