Schola magistra vitae, si potrebbe dire, prendendo in prestito la definizione che Cicerone riservava alla storia. “La scuola è maestra di vita”. Essa insegna e forma, plasmando menti e interessi di nuovi individui, protagonisti del domani ed educatori a loro volta. Un compito importante e delicato in nome del quale non si potrebbero concedere tanti errori. Ad assolverlo, un’istituzione il cui ruolo attraversa i secoli, ma che spesso rimane sorda e cieca ai cambiamenti sociali, veicolando messaggi sbagliati anche senza accorgersene. Il sessismo non troppo in filigrana nei libri delle elementari è tra questi.
È un problema questo sessismo?
La risposta a questa domanda è banale e univoca: sì. Perché il sessismo un problema lo è sempre, anche quando appare sotto forma di illustrazioni che non rispecchiano la realtà. Anzi, a maggior ragione perché non rispecchiano la realtà. Non c’è più una controparte reale nella mamma che lava i piatti mentre il papà legge il giornale sul divano, non c’è un riscontro tra figure disegnate e in carne e ossa. E grazie a Dio, o a chi per l*i, aggiungerei.
Questo però i bambini non lo sanno. Hanno occhi per osservare il quotidiano intorno a loro, ma non filtri che giudichino cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Vivere i primissimi anni di vita a suon di “la mamma stira, il papà lavora” porta all’interiorizzazione del concetto, fino a convincere che sia giusto così. Il tempo per spiegare loro l’errore c’è (o va trovato), ma il problema non è correre ai ripari, quanto più che un tale discorso non andrebbe proprio affrontato. Perché non dovrebbe scaturire alcuna fonte.
L’articolo in corso non vuole per forza portare alla luce un problema che si potrebbe contrastare con l’esempio attivo degli adulti, ma denunciare come anche questa piccola presenza non si possa ignorare. Farlo significherebbe far passare sotto gli occhi dei bambini che non c’è qualcosa di male nella divisione di genere. E i bambini imparano tanto da ciò che scegliamo di mostrare loro quanto da quello che non controlliamo.
Correva il 1997…
Quando il Comitato ONU per il monitoraggio sull’eliminazione delle forme di discriminazione nei confronti delle donne critica a buon diritto il nostro Paese. “I testi scolastici comunicano una presunta conoscenza di genere neutro, che è in realtà caratterizzata dall’invisibilità delle donne. I testi della scuola primaria trasmettono stereotipi tradizionali e messaggi di ineguaglianza” denuncia. Detto fatto: nasce il Progetto Polite, per le pari opportunità nei libri di testo. Un codice di autoregolamentazione degli editori italiani associati all’AIE per ripensare i libri in modo da fornire un’equa rappresentazione di uomini e donne.
A più di vent’anni di distanza, però, il tema è ancora dibattuto, al punto che si pensa una legge in merito. Ma non solo: si è allargato a macchia d’olio, fino a toccare molti aspetti del sistema educativo scolastico. Il motivo si legge chiaramente poco sopra: una buona educazione crea buoni cittadini. E la poca leggerezza dell’essere (sia pure inconsciamente) sessisti è insostenibile.
Libri che denunciano libri e dati inascoltati
“Gli autori di libri per bambini si limitano puntualmente a offrire loro gli stessi modelli già proposti in precedenza dalla famiglia e dall’ambiente sociale. La letteratura infantile ha quindi puramente la funzione di conferma dei modelli già interiorizzati dai bambini“. Frasi che potrebbero essere scritte oggi, ma che appartengono a Dalla parte delle bambine, libro di Elena Gianini Belotti che ha fatto la storia dell’educazione femminista, la cui prima edizione risale al 1973. Il Polite si è concluso nel 2002 e le parole della scrittrice sono più attuali che mai. Oggi si parla di “pedagogia di genere” o di “educazione di genere”, ma i dati tradiscono l’impegno apparente.
Nel 2016, infatti, Corsini e Scierri pubblicano Differenze di genere nell’editoria scolastica, Indagine empirica sui sussidiari dei linguaggi per la scuola primaria, mostrando percentuali affatto confortanti. Nel ruolo di protagonista, nelle edizioni pubblicate tra 2008 e 2010 dalle 12 principali case editrici italiane, il 57,7% dei casi spetta ad un esponente del sesso maschile, uomo o bambino. Le donne si ritrovano solo nel 38,7%. Solo l’anno precedente, la ricerca di Irene Biemmi in Educazione sessista rilevava il 60% come valore della presenza di personaggi principali maschili. Un calo significativo nella direzione sbagliata, considerando la consapevolezza culturale del periodo di pubblicazione di entrambi i volumi. Insomma, non si può davvero parlare di un miglioramento.
L’importanza delle immagini è capitale
La maggioranza dei bambini vive avventure, gioca, è dinamica; da adulti possono scegliere tra una rosa sterminata di mestieri. Le bambine stanno perlopiù in casa, suonano o danzano; da adulte le troviamo per la maggior parte nei tipici ruoli assistenziali o in quelli di strega, fata o principessa delle fiabe. Non figurano come le eroine che impugnano la spada per uccidere il drago. E le bambine che si immedesimano in loro si trovano private di questa possibilità.
Inoltre, si consideri il valore delle immagini nell’illustrare un brano che può essere o meno sessista. Sono il lasciapassare per l’immaginazione, per le aspettative e per le speranze dei bambini. Non si può pensare che precludano invece di incentivare. Invece di spingere i bambini e le bambine a essere chiunque desiderino e a imparare che i sogni non hanno genere.
Sara Rossi