Richard Matheson, questo Richard Matheson, non è materiale particolarmente comodo quando si tratta di trasposizioni hollywoodiane. Nella sua vasta produzione letteraria, “Io Sono Leggenda”  è forse il suo capolavoro e senza dubbio materiale piuttosto scottante che, partendo da un preteso narrativo post-apocalittico sui generis, sviluppa un profondo e stratificato discorso intorno alla natura umana, alle sua possibilità di convivenza e sopravvivenza, ai suoi istinti più intimi.

Troppa ciccia da tradurre, servire e far masticare al pubblico se il tuo unico scopo è quello di riempire fino all’orlo le sale di mezzo mondo.

“Io sono leggenda”: la dieta made in Hollywood

Quel che resta di New York nel 2012, in seguito a una misteriosa epidemia che ha trasformato tutti gli esseri umani in vampiri, è solo caos e desolazione. Di giorno, quantomeno, perché la notte è terreno di caccia della nuova razza padrona. Uno scienziato con il suo cane, forse unico esemplare del vecchio mondo ancora in vita, in lotta per la sopravvivenza e per la ricerca di un vaccino che possa in qualche modo invertire la tendenza e salvare la razza umana.

Non è certo un caso che la produzione abbia scelto Francis Lawrence alla regia, considerato l’adattamento per il grande schermo (e il grande pubblico) che diresse sempre per la Warner Bros nel 2005 con quell’altra brutta gatta da pelare che è il Constantine/Hellblazer di Gart Ennis, svilito o reso più digeribile a seconda dei punti di vista. Così l’alcolizzato, spezzato Robert Neville, uomo comune dalle ore contato, nelle mani degli sceneggiatori Akiva Goldsman e Mark Protosevich diventa un brillante virologo militare, lucido, consapevole e sempre sul pezzo dai tratti incoraggianti e universalmente riconosciuti di Will Smith.

“Io sono leggenda”: Will Smith e la salvezza dell’umanità

Che, sostanzialmente solo in scena, regge sulle sue solide spalle la quasi totalità di un film dai due volti. Il primo è quello che con metodo ed efficacia vede ricostruito quel poco rimasto in piedi della nostra civiltà in una New York a pezzi e abbandonata e la nuova quotidianità del suo ultimo abitante; una città che nei suoi momenti di oscurità sente aumentare a dismisura le pulsazioni e sa regalare momenti di adrenalina, azione pura ben costruita e un bel ritmo.

I problemi iniziano a venire a galla quando, sistemate sullo scacchiere le pedine, la vicenda prende le mosse e si sviluppa in un pericoloso discorso dicotomico tra scienza e fede, certo necessario a una svolta senitmental-ottimista del prodotto ma che, oltre ad allontanarsi di qualche ulteriore milione di chilometri dalla spirito fondante del romanzo, prima che discutibile è noiosa. Una direzione simil-cristologica che catapulta la pellicola da godibile per quanto apocrifo adattamento di una capolavoro letterario ad agiografia del martire tipica di una certa narrazione americana mainstream. La “leggenda” di Matheson assume un’accezione del tutto diversa: innanzitutto in termini di botteghino, dove di fronte ad un investimento iniziale di 150 milioni di dollari la pellicola ne ha incassati quasi 700 milioni.

Andrea Avvenengo

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