Iran: l’ascesa di una potenza internazionale

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Di Maria Paola Pizzonia

Si parla molto ultimamente di Iran, per via dei diritti delle donne ad oggi tragicamente negati. Ma per comprendere meglio questo fenomeno bisogna arrivare a studiare le radici storiche dell’ascesa di questo paese con tutte le contraddizioni che ne conseguono.

Ci troviamo in un periodo tragico per la politica interna Iraniana: instabilità sociale, abusi in divisa… Ma come mai una nazione come l’Iran sta vivendo queste vicissitudini?

Per comprendere però i funzionamenti interni di una nazione, specialmente se così distante da noi, è doveroso e non solo importante conoscerne i rapporti geopolitici e le basi storico-culturali, così da poterne al meglio inquadrare le azioni.

Quando l’Iran non seguì più i dettami di Londra

La premessa è: l’Iran è stato un paese filo-inglese. Questo significa che ha per molto tempo seguito i dettami e la volontà di Londra. Non in tutto e per tutto, sia chiaro, ma i due paesi sono storicamente tutt’ora molto legati. Partiamo da un primo punto di rottura per questo iniquo equilibrio tra potenze.

Molte cose cambieranno con l’ascesa al potere del generale Muhammad Mossadeq fino al ruolo di Primo Ministro. Inizialmente mantenne buoni rapporti con il Regno Unito, ovvero fino al 1951, quando prese una decisione importante. Decisione che porterà alla cosiddetta crisi di Abadan: la nazionalizzazione dei pozzi petroliferi, mossa che cambierà completamente gli equilibri (o sarebbe meglio dire disequilibri) tra le due nazioni.

Come si vedrà col Cile, i paesi con capitalismi più avanzati tendono a supportare quelli in via di sviluppo solo e soltanto a patto che questi forniscano le loro risorse e materie prime. Regimi non democratici, crimini di guerra, politiche sociali violente diventano inaccettabili solo quando cambiano i rapporti di forza tra le economie delle due parti. Ma, checché se ne voglia dire, il diritto a produrre valore dalle proprie risorse è una base, almeno in teoria, proprio del nostro amato capitalismo.

Aggiungiamo che se si sfruttano anche le risorse di paesi più arretrati – magari socialmente instabili e che non riescono ancora a metterle totalmente a frutto – il guadagno è incredibilmente maggiore.

Ecco, da qui vorrei partire, in questo periodo così complesso, per parlare di Iran. Questa non vuole essere un’apologia, anzi gli atteggiamenti in tema di politiche civile dell’Iran sono da condannare. Vuole piuttosto essere uno studio che ci permetta di comprendere maggiormente i disordini che stanno stravolgendo questa Nazione.

Perché monetizzare sulle risorse di altri territori favorendone l’instabilità politica non è proprio una buona idea

Se l’Iran avesse nazionalizzato i pozzi, il prezzo del Petrolio sarebbe salito alle stelle: cosa che avrebbe indisposto non solo agli Inglesi, ma anche gli Stati Uniti. Così, attuando un meccanismo squisitamente occidentale, i primi si affidano agli ultimi per un’astuta quanto crudele mossa di infiltrazione politica.

Inutile soffermarsi troppo sullo spiccato talento degli Americani nell’inserire elementi di disturbo nelle situazioni governative di Nazioni a loro avverse, così da favorire colpi di stato al termine dei quali sono in grado di inserire un proprio governo fantoccio.

Ecco quindi che nel 1953 viene rovesciato Mossadeq. Al suo posto diventa primo ministro Fazlollah Zahedi, sotto la benedizione del capo di stato Mohammad Reza Pahlavi e tramite una missione segreta firmata UK\USA per spodestare appunto il generale Mossadeq in Iran. Ogni parte dell’operazione agiva con specifiche ragioni.

La storia dell’operazione Ajax

La storia dell’Operazione Ajax si basa su due premesse principali. Da una parte il Regno Unito mirava a rafforzare la sua influenza sul futuro nuovo capo di stato per recuperare il controllo sui giacimenti petroliferi. Gli Stati Uniti, contestualmente, erano spaventati dall’instabilità politica dell’Iran che, unitamente ad una crisi economica, avrebbe potuto legittimamente aprire un varco di penetrazione sovietica in Medio Oriente.

La nazionalizzazione aveva intanto reso immediatamente popolare Mossadeq tra tutti gli strati della popolazione Iraniana, come quasi un eroe nazionale. Per la prima volta l’Iran sentiva che il controllo degli affari interni gli apparteneva. Chiedeva a gran voce condizioni favorevoli nel commercio con il Regno Unito, condizioni che erano difficili da concedere per quest’ultimo, ma che vedevano dall’altra parte un degno e testardo avversario. Questa policy portò ad un sentimento di orgoglio nazionale che si accompagnava alla speranza che una simile mossa avrebbe, ovviamente, portato benessere economico e stabilità. Non è difficile immaginare la fascinazione che quindi avvolse l’egemone.

Fu a quel punto che la CIA elaborò l’operazione Ajax: la sostituzione del primo ministro Mossadeq con il generale Zahedi. Tuttavia questi resistette all’arresto e riuscì ad intralciare il golpe grazie all’aiuto del Tudeh, partito marxista iraniano. Questo salvò la vita del primo ministro, ma non impedì la riuscita del colpo di stato che cambierà le sorti della nazione.

L’Iran è messo in difficoltà da USA e Regno Unito

Colui che nel 1953 diventerà scià, l’iraniano Reza Pahlavi, è un uomo molto vicino alla politica filo-americana, e sarà una figura molto comoda a Stati Uniti e Inghilterra. Finché nel ’79 in Iran le cose cambiano completamente. Non c’è tempo e modo per indagare nei meandri della rivoluzione Iraniana, ma basi arrivare al punto in cui un personaggio emerge: Khomeini. Sciita, fu l’uomo che guiderà il colpo di stato, dalla parte di una corrente molto radicale.

In breve: i sunniti leggono il corano interpretandolo letteralmente, con applicazione quindi rigida del testo sacro; gli sciiti, come avvenne con la bibbia tramite il processo ermeneutico per i Cristiani, considerano il corano un insieme di espressioni simboliche e allegoriche. Khomeini è un radicale sunnita. Non solo, è anche un fervente anti-occidentale. Nel 1979 Khomeini infatti compie una sorta di autodafè contro la produzione americana. I prodotti importati dagli USA sono banditi: non si può bere coca-cola, nè guardare la TV e le donne devono mettere il velo.

Una differenza di prospettiva

L’ottica occidentale pone ovviamente queste misure in un’ottica separatista e liberticida; tuttavia, forse, non cogliamo altri aspetti, che sono quelli che crearono il consenso della popolazione autoctona: la nazionalizzazione del petrolio e il ritorno ad un Iran che si poneva come indipendente dal gioco del Capitalismo.

Al confine dell’Iran, stato prevalentemente sciita, troviamo l’Iraq, nazione popolata da curdi sciiti e sunniti ma prevalentemente sunnita. Ci troviamo nel 1979, la Russia sta invadendo l’Afghanistan. Gli Stati Uniti favoriscono l’ascesa di una figura che stava emergendo nel partito Baath: un partito politico panarabo laico con tendenze socialiste.

Iraq contro Iran: l’ascesa di Saddam Hussein

Il partito Baath, o Partito del Risorgimento Arabo Socialista, è nell’occhio del mirino degli USA perchè vogliono creare un Iraq anti-iraniano. Ecco che all’Iran di Khomeini si contrappone l’Iraq di Saddam Hussein.

Non è più un segreto né una bestemmia scrivere, a questo punto, che la figura di Saddam, che tanto darà da pensare agli Stati Uniti, altro non sia che una sua creazione poi sfuggita al loro controllo.

Ecco che tra il 1980 e il 1988 avremo gli otto anni di guerra, atroce e devastante, tra le due nazioni. Morti incalcolabili, torture, crimini di guerre, armi chimiche: i retroscena di questo conflitto sono inenarrabili e forse ne parleremo più avanti. Saddam utilizza armi fornite dagli Stati Uniti; Khomeini alcune armi fornite dalla Russia, nonostante si definisse antisovietico in quanto a favore della rivolta dei talebani in Afghanistan.

Al termine di una così tremenda guerra, i soli a favorirne sono gli americani. Mentre tra i due paesi poco è cambiato, gli Stati Uniti hanno non solo riempito le loro tasche vendendo armi, ma hanno contribuito a mantenere i due paesi instabili e a diminuire il prestigio di Khomeini, successo non indifferente per lo schieramento di forze dell’epoca.

Saddam ebbe, in breve, un’ascesa politica strabiliante. Questa che lo portò a possedere un’ingente quantità di armi e controllo sui pozzi petroliferi, nonché un grande mordente sulla popolazione. A questo punto non era più così ben visto dagli Stati Uniti. L’invasione del Kuwait fu legittimata anche in quanto storicamente era possedimento Iracheno. Inoltre il suo reddito pro-capite era di circa mezzo milione di dollari a persona. Questo ovviamente anche perché, essendo letteralmente un enorme pozzo di petrolio adibito a nazione, la popolazione non è così densa.

La guerra del golfo

Per metter mano sui giacimenti, gli USA utilizzarono lo spauracchio delle armi chimiche di Saddam per attaccare l’Iraq, armi che però avevano venduto loro stessi agli iracheni. Così il 16 Gennaio 1991 inizia la guerra del Golfo. Va detto che il 1991 è l’anno del patto di Varsavia e della fine dell’Unione Sovietica. In situazioni così delicate è più facile iniziare conflitti, in quanto l’attenzione del mondo è spostata altrove. Tra le due guerre del Golfo infatti, vedremo anche le guerre Jugoslave: avvenimenti che trascineranno il mondo in un nuovo buio decennio. Guerre che devasteranno molti popoli, ma faranno vendere certamente molte armi.

Difficile dire se agli USA sia veramente convenuto iniziare questa guerra (probabilmente: no), ma dopo varie vicissitudini nel 2003 gli Americani liberano L’Iraq da Saddam. L’intervento è violento, crea uno sconvolgimento nella sociologia politica di un altro stato, ne modificano la Costituzione e creano un’autorità che governa l’Iraq senza avere la capacità di gestirlo. Nel 2006 Saddam viene catturato e ucciso repentinamente, prima che possa dire o fare qualsiasi cosa. Questo potrebbe ricordare anche la modalità di cattura di altri personaggi: come Gheddafi.

Come siamo arrivati qui?

Infatti non è la prima volta che il regime iraniano si trova a confrontarsi con la rabbia e la frustrazione dei cittadini iraniani. Nel 2009 le proteste innescate dall’uccisione di Neda Agha Soltan, studentessa 26enne, colpita al petto da un proiettile mentre manifestava dopo una contestata tornata elettorale, arrivarono a scuotere la Repubblica islamica fino alle fondamenta. Dieci anni dopo, nel 2019, gli iraniani sono tornati in piazza per protestare contro il carovita, in proteste che si sono rapidamente trasformate in contestazioni politiche represse con la forza. Da allora le autorità hanno investito su alcuni tra i più pervasivi sistemi di controllo e sicurezza digitale della regione, costringendo al silenzio ogni forma di dissidenza. Almeno fino ad oggi, quando la morte di Mahsa Amini ha risvegliato un’insoddisfazione che covava sotto la cenere. Resta da vedere se questo malcontento urlato nelle piazze arriverà a minacciare il cuore dei palazzi di Teheran o finirà per piegarsi. Quel che è certo è che i leader iraniani temono una strada che non riescono più a più contenere. E che la morte violenta di un’altra giovane donna è una scintilla dalle conseguenze imprevedibili.

Attualmente le donne iraniane, secondo i vari articoli della Costituzione Iraniana, in vigore dal 3 dicembre 1979, godono di pari dignità sociale ed economica in base però alla legge della Sharia; i loro diritti quindi, secondo il punto di vista occidentale, devono ancora essere pienamente acquisiti.

Articolo di Maria Paola Pizzonia

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