Il 20 aprile 1893 nasce in Spagna, Joan Mirò, un artista che sarà sempre alla ricerca dell’arte in tutta la sua vita. Inizia a disegnare a soli 8 anni, ma il padre punterà fin da subito a farlo diventare notaio, mestiere al quale Mirò non si sente per nulla portato.
Inizia anche a lavorare in uno studio notarile, ma presto verrà colpito da una malattia e sarà costretto a stare a casa. Deciderà di dedicarsi totalmente all’arte. Per rimettersi si trasferirà in una fattoria, periodo questo che lo influenzerà molto anche dal punto di vista pittorico; un esempio è la sua opera ‘La Fattoria’.
La depressione e il movimento surrealista
Già all’età di 18 anni nell’artista si cominciano a manifestare episodi depressivi, la pittura l’aiuta a fuggire dalla sua grande malinconia. Il suo carattere è chiuso, introspettivo, malinconico, silenzioso e molto timido.
Nel 1924 si avvicina al movimento surrealista, momento nel quale la sua arte cambia totalmente stravolgendosi. Emblematico è il dipinto ‘Il carnevale di Arlecchino’ dove il protagonista non è un elemento reale, ma l’inconscio. Arlecchino rappresenta se stesso, triste, malnutrito e circondato dalla frenesia del momento. Mirò ha pochi soldi in quel momento ed è spesso affamato; le allucinazioni causate dalla fame lo portano a vivere stati di trance provocandogli allucinazioni.
L’arte dell’inconscio di Joan Mirò
Mirò nelle sue opere utilizza colori di base spenti, cupi e tristi che rispecchiano molto il suo stato d’animo; racconta la forte rabbia tramite personaggi esteticamente non belli per cercare di liberarsi dai suoi stessi incubi. Un esempio è il ciclo di dipinti ‘Disegni selvaggi’ dove l’artista cerca di esorcizzare la sua paura della morte o la serie ‘Costellazioni’.
Un quadro non finisce mai, non si comincia nemmeno. Un quadro è come il vento: qualcosa che cammina sempre senza posa
Ciò che l’artista voleva era che le sue opere potessero arrivare alle future generazioni come un qualcosa che ancora deve germogliare; un seme pronto a crescere.
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