JonBenét Ramsey, l’assassino della baby reginetta, un cannibale pedofilo?

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Di Redazione Metropolitan

Per la rubrica “Cronache del mistero” oggi ripercorriamo il caso dell’omicidio della piccola JonBenét Ramsey. Sulla tragica vicenda, che nell’ormai lontano 1996 catturò l’attenzione di mezzo mondo, si nascondono ancora oggi dubbi ed incertezze. Un omicidio particolarmente violento e da subito caratterizzato da una serie di circostanze anomale, misteriose ed intricate. JonBenét Ramsey seppur a soli 6 anni all’epoca, era già una star. Infatti per la sua bellezza paragonata a quella di “Barbie” aveva partecipato attivamente ad alcuni tra i più famosi concorsi di bellezza per bambini, vincendo i titoli di: “America’s Royale Miss“, “Little Miss Charlevoix“, “Little Miss Colorado“, “Colorado State All-Star Kids Cover Girl” e “National Tiny Miss BeautyPeople reports“.

Il clamore generò una vertiginosa girandola di ipotesi che portò alla ribalta molti sospettati. Sulle prime emerse l’inquietante coinvolgimento di alcuni componenti della famiglia, tra cui il padre e il fratellino. Negli anni molte furono le piste seguite dagli investigatori, e molti i mitomani che si autoaccusarono dell’atroce delitto. Tra questi Gary Oliva 54 anni, affetto da cannibalismo e oggi detenuto con una condanna per abusi su minori.

JonBenét Ramsey, i fatti

Nella foto Patricia Ann Paugh, John Bennett Ramsey e la piccola JonBenét   photo credit: giornalepop.it
Nella foto Patricia Ann Paugh, John Bennett Ramsey e la piccola JonBenét photo credit: giornalepop.it

Tutto avvenne nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 1996. Alle ore 22 del 25 la famiglia, composta dalla madre Patricia Ann Paugh, dal padre John Bennett Ramsey, un ricco uomo d’affari di successo, dal piccolo Burke di 9 anni e da JonBenét di 6, rincasò dopo aver passato la serata natalizia da alcuni parenti. Messi a letto i bambini, i genitori cominciarono a preparare le valigie, in vista di una partenza prevista per il giorno successivo, dopodiché i due coniugi si coricarono. Alle 5:30 del mattino quando Patricia si alzò notò subito qualcosa di strano sulle scale che portavano alla cucina. Su un gradino c’erano adagiati tre fogli scritti a mano. A Patricia bastò leggere poche parole per capire che si trattava di una richiesta di riscatto. Nella lettera i rapitori chiedevano il pagamento di 118.000 dollari per riportare la bambina sana e salva alla famiglia.

Gli autori della lettera inoltre intimavano di non riferire a nessuno della situazione, altrimenti avrebbero ucciso la piccola. La donna spaventata si recò nella stanza di JonBenét e si rese subito conto che la bimba era scomparsa. Dopo aver svegliato ed informato il marito, i due decisero di chiamare il 911 per ricevere soccorsi. Di seguito avvisarono anche alcuni amici della famiglia, che si recano nella casa dei Ramsey. La polizia arrivata sul posto iniziò subito la perquisizione all’interno e all’esterno della casa e nel seminterrato, fecero la terribile scoperta. Il corpo di JonBenét giaceva a terra, avvolta da una coperta. Un pezzo di nastro adesivo sigillava la bocca della bambina , i polsi erano legati con una corda e intorno al collo c’era una garrota, formata con una corda di nylon e un pennello. JonBenét era morta strangolata.

I sospettati e la dichiarazione choc del cannibale Gary Oliva

Nella foto JonBenét Ramsey e Gary Oliva  photo credit: thesocialpost.it
Nella foto JonBenét Ramsey e Gary Oliva photo credit: thesocialpost.it

La casa venne messa sotto sequestro dagli inquirenti. Dentro l’abitazione non furono riscontrati segni evidenti di effrazione. Ciò indusse la polizia a rivolgere le attenzioni del possibile colpevole all’interno della famiglia. Tra i sospettati ricadde John Bennett Ramsey padre di JonBenét e il piccolo Burke Ramsey, fratello della vittima che all’epoca dei fatti aveva 9 anni. Le voci circolate da, e tramite i media, ipotizzarono che il ragazzino uccise sua sorella in uno scatto d’ira nel cuore della notte, colpendola con una torcia posta sul tavolo della cucina, e che i genitori sarebbero intervenuti per coprirlo, inscenando un rapimento. Anche gli inquirenti seguirono questa ipotesi ma sia nei confronti del padre, che del fratellino ci furono mai sufficienti prove tanto da indurre la polizia a poter formulare precise accuse.

Poi due anni fa, la confessione choc del pedofilo Gary Oliva. Dalla sua cella del Limon Correctional Facility, Colorado, dove è detenuto da tempo, il 54enne ha scritto in una lettera inviata a un ex compagno di scuola Michael Vail, agente pubblicitario di Ventura (California). Nella lettera resa nota da Vail alle autorità, Oliva confessa di essere lui l’assassino affermando che all’epoca abitava a Boulder, in Colorado, a pochi isolati di distanza dalla villa della vittima di cui dichiara, d’esserne stato “Innamorato”. Oliva dichiara inoltre che le sue intenzioni iniziali non erano quelle di ucciderla e che la morte della bambina fu un incidente. Accortosi della morte della piccola , scrive ancora, che avrebbe voluto mangiarla ma che non ne ebbe il tempo”. La polizia indaga.

di Loretta Meloni

Immagine di copertina (JonBenét Ramsey) photo credit: auralcrave.com

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