La fortuna postuma dell’ingegno perspicace di Masaccio

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Di Alessia Ceci

Commentando la morte precoce, a neanche 27 anni, di Masaccio, nato oggi ma nel 1401 – pare che Brunelleschi dicesse agli amici: ‘’Noi habbiamo fatto una gran perdita’’.  Come riferisce il ‘’Libro’’ del mercante Antonio Billi agli inizi del Cinquecento, l’architetto aveva frequentato a Firenze l’artista venuto dal Valdarno. Nonostante i pochi anni di breve ma folgorante attività, doveva essersi accorto del suo ‘’ingegno perspicace’’ per il quale avrebbe insegnato ‘’molte cose dell’arte’’. Una dichiarazione quest’ultima che lascia percepire – per prima cosa – una padronanza, di Masaccio, nell’adottare le nuove regole prospettiche indagate da Brunelleschi tra il 1415 e il 1420.

Tommaso di ser Giovanni detto Masaccio

Il Tributo dipinto di Masaccio, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze
credits: flonchi.org
Il Tributo, Masaccio, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, 1425ca, Firenze

Giorgio Vasari scrive che Tommaso di ser Giovanni, questo il suo nome di battesimo, fu soprannominato Masaccio per la sua trascuratezza nella cura della persona. Non sappiamo se questa notizia, riferita oltre un secolo dopo la sua scomparsa, sia attendibile. Tuttavia il suo presunto modo trasandato non ha nulla a che vedere con la pittura. Lo si riscontra in tutte le sue opere, come negli affreschi della cappella Brancacci o nella complessa struttura della Trinità di Santa Maria Novella, dove le figure appaiono saldamente situate in uno spazio prospettico realistico e umanizzato. Proprio attraverso il paragone con lo spazio esatto e razionale, concepito in comune con Brunelleschi, inizia la fortuna critica del pittore.

Una fortuna critica compromessa

Una fortuna tutta postuma danneggiata dalla brevità dell’attività artistica del giovane, che oscilla tra i cinque e sei anni. Troppo pochi affinché un talento come quella di Masaccio potesse affermarsi appieno; in una città, oltretutto, come Firenze, che più di ogni altra nell’Occidente pullulava di artisti e botteghe. Oppure a non essere compresa fu la modernità della lezione di Masaccio, troppo avanti con i tempi per essere assimilata dagli artisti della sua generazione. Quasi certamente però committenti e devoti dovettero essere favorevolmente impressionati dall’umanità dolente degli storpi nel san Pietro risana gli infermi o del ‘’nudo che triema’’ nel Battesimo dei neofiti della cappella Brancacci.

Ma chi erano gli estimatori di Masaccio?

La realtà di Masaccio appare tanto essenziale e priva di orpelli da aver indotto uno dei suoi primi estimatori, l’umanista Cristoforo Landino, nel 1481 a definire il pittore ‘’puro senza ornato’’, riesumando la definizione vitruviana della colonna dorica sine ornatum nudam speciem. Come o forse meglio degli antichi Masaccio era stato ‘’ottimo imitatore di natura, di gran rilievo, universale buono componitore […] perché solo si dette all’imitazione del vero e al rilievo delle figure; fu certo buono e prespettivo’’. Per dire che aveva ottima padronanza della prospettiva ed era capace di imitare la natura dando rilievo alle figure. Rilievo e umanità emergono ancora nell’atto istintivo di succhiare le piccole dita della mano del Bambino nel Trittico di San Giovenale, che quasi si immagina il sapore del succo di un qualche acino d’uva.

Anche Leon Battista Alberti era stato ben consapevole della grandezza e delle innovazioni di Masaccio, e lo aveva annoverato nel quintetto di artisti che a Firenze avevano rivoluzionato il corso dell’arte. Il suo è il primo riconoscimento al talento di Masaccio che si conosca, sebbene espresso solo per accenni e risale a circa otto anni dopo la scomparsa del pittore. In pieno clima umanistico di riscoperta della classicità non fa meraviglia che riconoscesse un ingegno non inferiore agli antichi non solo in ‘’Filippo [Brunelleschi] e […] in quel nostro amicissimo Donato scultore [Donatello] […] ma anche in Masaccio’’.

La quantità di studi su Masaccio

La pittura masaccesca a tutt’oggi considerata per le sue innovazioni spaziali, per la saldezza e l’altissima poesia il cardine del primo Quattrocento figurativo, sembra riunire in sé una scienza esatta razionale e al contempo una classica plasticità. Quel nuovo modo di concepire il colloquio degli uomini fra gli uomini e il rapporto dell’uomo con Dio si traduce in una chiarezza spaziale ed esprime una verità psicologica che ‘’chiariscono l’uomo a sé stesso’’, come ha spiegato Federico Zeri.

In seguito sarà Roberto Longhi a offrire un’acuta e ampia disamina sull’opera di Masaccio, immaginando come una biografia romanzata i dialoghi con il collega Masolino sui ponteggi della cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine. Collaboratore indipendente, quando gli riusciva di strappare per sé un lavoro, mentore assillante quando lavorava con l’anziano, così bisogna immaginare la presenza di Masaccio nella prima fase dei lavori del Carmine. E tanto più appare strabiliante, la quantità ininterrotta di studi sulle sue opere, quanto queste, tutto sommato molto poche, sono state realizzate nel corso di una stagione brevissima. Le decine di monografie, saggi, atti di convegno, cataloghi, stanno a dimostrare che l’attualità di Masaccio non si spenge e che ancora molto c’è da dire e – si spera – da scoprire.

Alessia Ceci

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