Una scuola senza voto e senza valutazioni: la pedagogia di Mario Lodi si basa su un tipo di formazione che sottolinea la creatività del bambino in ogni sfaccettatura. Mario Lodi si pone in una visione che mira all’uguaglianza nel contesto scolastico; il suo è un pensiero che indaga e auspica la realizzazione di una scuola che sia inclusiva e basata sulle attitudini del singolo, senza che il bambino sia svilito da un numero che non rappresenta la sua effettiva capacità.
Mario Lodi, la scuola senza voto: perché l’apprendimento deve essere di tutti e per tutti
Quella di Mario Lodi è una scuola la cui aspirazione è formare un cittadino libero; l’apprendimento attivo non si basa su un approccio nozionistico, in quanto il bambino non è un vaso da riempire. Ogni fanciullo, fin da piccolissimo, racconta la propria porzione di mondo attraverso la creatività; uno scarabocchio di un bambino è la manifestazione di ciò che ha scoperto, in quel frangente, nel proprio universo. Mario Lodi, nato nel 1922, vive intensamente gli anni del regime fascista; nel 1940 si diploma maestro elementare e si accorge di come la didattica, fino a quel momento, non si sia mai posta domande sulla modalità di insegnamento:
”Non sapevamo che i bambini non sono vasi da riempire, ma vasi pieni da organizzare”.
Ispiratosi alla pedagogia di Célestin Freinet, il 4 novembre 1951 nasce, presso l’ abitazione della maestra Anna Marcucci Fantini, il Movimento di Cooperazione Educativa che si ispira ai metodi della Pedagogia Popolare del noto insegnante francese. Il MCE si è sempre battuto per una scuola laica e pubblica e trova in Mario Lodi uno dei suoi più importanti esponenti. Al centro la didattica cooperativa: una metodologia che organizza la sua struttura sulla cooperazione e sulla solidarietà sociale. Inizia così, negli anni ’60, un periodo che vedrà impegnati tanti giovani insegnanti verso un’educazione libera e di tutti.
È il caso di Don Lorenzo Milani con il suo celebre motto ”I care”, ho a cuore, mi importa, mi prendo cura, il cui progetto è realizzare una scuola inclusiva e libera che promuova lo sviluppo di tutte le intelligenze. La scuola ha il compito di accogliere: di esaltare l’intelligenza e le predisposizioni di ogni allievo, anche e soprattutto se il bambino proviene da un contesto culturalmente e socialmente svantaggiato, creando un percorso formativo individualizzato per ogni bambino. E sulla concezione della scuola di Barbiana di Don Milani, amico di Mario Lodi, che il pedagogista rivendica una scuola democratica:
«Noi giovani maestri inesperti, nel passaggio dalla dittatura alla libertà e dalla guerra alla pace, cercammo insieme di realizzare la democrazia a scuola e attraverso la scuola».
La pagella, strumento di competizione e disuguaglianza che limita il piacere dell’apprendimento
Recentemente è partita la sperimentazione dell ”scuola senza voti” al liceo Morgagni di Roma, una scelta che ha fatto più o meno discutere. Eppure, la valutazione degli alunni tramite la pagella è un dibattito che risale al 1974. Mario Lodi la riteneva imprecisa e asettica poiché non teneva in considerazione l’universo variegato di un allievo e la stessa interiorità del bambino.
”Quando il voto viene dato facendo il confronto dei risultati e non tenendo conto dei punti di partenza, la pagella diventa inevitabilmente strumento di selezione. Infatti, in Italia i ragazzi delle famiglie più disagiate, che non possono dare ai loro figli molti stimoli culturali (libri, gite, linguaggio, ecc.) sono quelli più bocciati.”
Senza dubbio, il voto produce una classificazione che a sua volta induce tensione e sottolinea, principalmente, disuguaglianze. La valutazione numerica di una prestazione confrontata fra due o più bambini dovrebbe tener conto delle condizioni di partenza; è lapalissiano affermare che un allievo il cui sviluppo avviene in un contesto colmo di stimoli culturali, sarà più avvantaggiato rispetto un fanciullo cresciuto in un nucleo familiare povero e costretto a imparare a sopravvivere nel suo contesto.
Ne consegue che la pagella diviene uno strumento limitante che svilisce la creatività e le potenzialità di un bambino. Sulla valutazione, in quanto espressione impersonale se non contestualizzata nell’esistenza vissuta di un allievo, Lodi si esprimeva con queste parole:
Nessun problema mi mette in difficoltà come questo. La mia incapacità a esprimere con un numero quella complessa realtà che è il bambino a scuola, ha diverse motivazioni, che voglio qui spiegare perché i genitori capiscano che non si tratta di un atteggiamento contestatore di moda, ma di un problema che coinvolge la concezione che l’educatore ha dell’uomo e della società in cui vive, e la sua stessa coscienza.
Etichettare un bambino con un numero, classificarlo con un voto, significa solo ridurre la scuola alla produzione di atteggiamenti competitivi fra allievi e la stessa società. Questo modus operandi deturpa l’obiettivo più importante; limita il piacere all’apprendimento svilendolo a una mera performance. In questa concezione, imparare diventa una vuota prestazione che svanisce una volta raggiunto l’obiettivo effimero che è il voto.
Mario Lodi, la scuola senza voto: perché la pagella è uno strumento impreciso?
Il numero che classifica un bambino elimina il piacere di apprendere ma, principalmente, crea divisioni. La scuola nasce non solo per esser valutati ma anche per scoprire la propria intelligenza emotiva, la creatività, imparare a stare con gli altri e accogliere la diversità. La filosofia del voto, e della pagella come strumento di valutazione, presenta numerosi aspetti claudicanti se rapportata alle diverse sfumature che tralascia nella valutazione di un alunno.
La pagella, così com’è oggi, uno strumento di valutazione impreciso e soggettivo. Il numero che dovrebbe essere scritto nelle caselle corrispondenti alle “materie” o a gruppi di attività, è il risultato di una strana miscela di sensazioni riguardo alle attività del bambino, che il maestro compie sulla base di un modello di sufficienza che varia da insegnante a insegnante. Non sono rari i casi di “temi” giudicati in modo diverso, a volte opposto, da maestri e professori.
L’educazione e la didattica non possono essere incasellate in un sistema statico per ogni allievo. La valutazione di maestri e professori è del tutto soggettiva e addirittura lo stesso bambino cambiando maestro può cambiare voto.
È stato dimostrato perfino che lo stesso tema può essere valutato in modo diverso dallo stesso insegnante, in differenti momenti. Io stesso ho provato, anni fa, a ripetere i voti della pagella a distanza di qualche giorno: i voti non sono risultati uguali. Ciò dipende dal fatto che ogni materia racchiude diverse capacità. Un numero per la “lingua italiana” col quale sintetizzare più attività come la lettura, la scrittura, l’ortografia, la sintassi, la proprietà di linguaggio, la fantasia, la capacità di conversare ecc.
Se ogni discente è diverso, e ogni metro di valutazione appartenente a un insegnante è diverso, come può essere la pagella uno strumento uguale per tutti e preciso? I bambini sono tutti differenti: con i loro tempi, le loro attitudini, ed è la prima scoperta che fa un educatore. Parafrasando ancora il pensiero di Mario Lodi, accettando di dare un voto si diventa ”giudice” di uno scolaro quando invece l’apprendimento deve essere un flusso cooperativo; un dare e avere tenendo conto delle condizioni di partenza.
Impostare il lavoro scolastico sugli interessi dei singoli senza auspicare alla ”mercificazione del voto”
Don Lorenzo Milani diceva ”Non c’è nulla che sia ingiusto come far le parti uguali fra disuguali‘. Qual è quel bambino che vuole prendere un voto basso e andare incontro a sensazioni di tristezza, bassa autostima o, a volte, anche vergogna? Se i voti bassi persistono le cause devono ricercarsi nelle condizioni sociali della famiglia e in un approccio educativo che non tiene in considerazione il metodo collaborativo.
Impostare il lavoro scolastico sull’interesse del bambino significa liberarlo dal timore, dalla vergogna e dall’ansia; ma anche donare strumenti al discente per indagare la propria unicità e non creare una didattica che aspiri in modo esclusivo al voto come espressione di validità. In questo contesto il voto diventa una ricompensa che non incentiva e non sollecita a studiare per il piacere della conoscenza, riducendosi alla mercificazione stantia di un numero.
”È inevitabile che dove ci sono i voti si fanno confronti. I voti non lasciano mai indifferenti i bambini. Il bambino che riesce bene nelle attività scolastiche, anche se non lo dice, può credersi più bravo e intelligente degli altri e diventare superbo; il bambino che non riesce può credersi meno intelligente e diventare insicuro o invidioso. La superbia, l’invidia, l’insicurezza, il pettegolezzo sono conseguenze del voto.”
Il voto ostacola la realizzazione della socialità del bambino impedendo il realizzarsi della collaborazione che unisce e fa crescere. La proposta di Mario Lodi, in questo senso, è:
”A questo punto dico ai genitori: ‘Io non sono capace di giudicare vostro figlio con un numero ma mi sento capace e in dovere di capire come ha vissuto fin qui per aiutarlo a proseguire senza chiedere a lui più di quel che può dare ma anche senza trascurare nulla di ciò che lo può realizzare come persona libera e sociale’.[…]Solo così è possibile tentare una valutazione, descrivendo la sua storia, i suoi progressi e i suoi problemi.”
Stella Grillo
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